È stato quasi come percorrere quelle grandi strade, con gli occhi sempre puntati verso l’alto. Vivere il fascino denso e contraddittorio di New York, con le silenziose luci dei suoi ponti riflesse nell’Hudson e i formicai di gente a ogni incrocio. Poi, passeggiare lentamente tra i Memorial dell’elegante e celebrativa capitale. E, infine, ritrovarsi a Boston, città-gioiello dal sapore italiano, ma anche teatro della prima e sanguinosa storia americana.
Questo è quanto emerso dai commenti di chi, tra il 5 e il 7 settembre, ha visitato la mostra fotografica “Dall’altra parte della luna”, esordio del giovane fotografo molfettese Lorenzo De Gennaro, allestita negli spazi dell’ex-sepolcreto di Santa Croce, a Bisceglie. Interesse e apprezzamenti anche per di Rosita Di Bitetto che, attraverso la sua “Green photography”, ha lanciato il suo personale messaggio di rispetto e amore per la natura.
L’esposizione si è aperta con la serata inaugurale di venerdì, alla presenza di molte autorità locali, tra cui il sindaco Francesco Spina, il presidente del Consiglio comunale Franco Napoletano, l’assessore alle Politiche giovanili Vittoria Sasso e Vincenzo De Feudis, presidente della Pro Loco, associazione partner assieme al comune di Bisceglie. Giunto ormai al capolinea, il viaggio fotografico alla scoperta dell’East Coast degli USA è stato vero un successo: grande affluenza di visitatori e feedback positivi.
Ma come è nata l’idea? A rispondere è Lorenzo De Gennaro.
«Viaggiare apre la mente. Mentre ero lì non riuscivo a far a meno di scattare e dopo una foto arrivava un’idea. Come se dal cielo piovessero pezzi di immagini che tu devi raccogliere e ricomporre. Poi, al ritorno, tanta gente mi chiedeva: “Com’è l’America?” e ogni volta mi accorgevo di quanto fosse difficile rispondere. Con la fotografia mi è sembrato più semplice. E solo dopo sono entrate in gioco le parole».
In che senso “le parole”?
«Ho scelto gli scatti più significativi, quelli che per me rappresentavano meglio i posti che ho visitato e le sensazioni che essi mi hanno trasmesso, non solo per quanto riguarda attrazioni e monumenti, ma anche dal punto di vista dello stile di vita, ideologia, culture, popolo. Li ho divisi per tema, quindi per parole-chiave. La mostra è stata allestita seguendo questo filo logico. Ogni lettera che compone il nome delle tre città (New York City, Whashington DC e Boston) è collegata a un argomento; ogni argomento a una o più fotografie».
Cosa ne ha pensato il pubblico?
«Ritengo che sia stato più facile capire il significato dei miei lavori, come se i visitatori fossero compagni di viaggio. Chi, invece, in quei posti ci è stato davvero, si è riconosciuto nei temi affrontati».
Se volessi racchiudere il senso di questa esposizione in qualche riga?
«È difficile rispondere. Ho cercato di raccontare, attraverso i miei occhi, le mille sfaccettature di questa fetta di mondo che, seppur attraverso le sue contraddizioni, è sorprendentemente aperta verso chi si lascia affascinare. È troppo facile fotografare la veduta dall’Empire State Building. Manhattan è ai tuoi piedi: basta posizionare la macchina e scattare. Ho cercato, piuttosto, di inserire in questo progetto anche qualcosa di più personale».
Partendo dalle origini, come è nata la passione per la fotografia?
«Non dobbiamo andare troppo a ritroso nel tempo. Mi sono avvicinato qualche anno fa, quasi per caso. Mi trovato all’Acropoli di Atene e ho iniziato a scattare vedute del Partenone col cellulare. Sono tornato a casa con la sola idea di risparmiare soldi per comprarmi una reflex. I miei amici ricordano di sicuro. Alla fine ci sono riuscito: modello base, ovviamente».
E poi come è andata?
«Ho continuato a lavorare per potermi permettere un’attrezzatura più ricercata e qualche corso, ma importanti sono state anche le ore trascorse a informarmi su internet. Sono arrivati i primi lavoretti su commissione. Insomma, siamo solo all’inizio, la strada è ancora lunga. Inoltre, presto comincerò a frequentare un master da fotoreporter a Roma».
Tonando a questo tuo esordio, ti senti soddisfatto?
«Certo che si. E colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile questa nostra avventura fotografica: il presidente e i ragazzi della Pro Loco, il comune per gli spazi concessi, il nostro sponsor “Arteflor” di Vito Tesoro – che con la sua maestria ha dato un contributo importante nell’abbellire con fiori e piante le sale espositive – “Neople Stampe digitali” di Pasquale Caprioli, il quale ha pensato alla grafica di manifesti e inviti. Non posso non citare la professionalità dello staff di “Ciak Fotografia” che ha curato in maniera impeccabile la stampa delle foto».
Andare oltre lo scatto e leggerci un messaggio di rispetto e amore per la natura: «Ci tenevo tanto che i miei lavori non fossero lì solo per essere mostrati – ha affermato Rosita Di Bitetto, autrice della “Green photography” – ma che tutti, guardandoli, potessero riflettere su quanto è gradevole e salutare vivere in luoghi in cui le aree verdi sono curate e valorizzate».
Dalla fotografia di strada a quella naturalistica. Non è dunque un caso, vero?
«Esatto. Ho scelto di esporre ciò che più mi rappresenta e poteva essere importante affiancare alla Street photography di Lorenzo una carrellata di scatti sull’ambiente. Come due facce della stessa medaglia. Anche New York, che nell’immaginario collettivo è la città dei grattacieli, contiene un immenso polmone. A Central Park ognuno può vivere al meglio il rapporto con la natura».
È troppo ambizioso pensare in questi termini alla nostra città?
«Già, siamo distanti anni luce. È un peccato, perché abbiamo tanta “materia prima”, dalle grotte di Santa Croce alla zona Ripalta, per citare alcuni posti che amo particolarmente. Ma penso che essi non vengano considerati come meritano. E non parlo di turismo: sarebbe un bene che venissero apprezzati per fini ricreativi e sportivi, magari realizzando aree attrezzate e percorsi tracciati. Valorizzare, quindi, non significa deturpare, ma curare per il bene sia dell’uomo che della natura stessa».
Insomma, per qualche giorno l’altra parte della luna non è sembrata poi così lontana.