“La cassazione: Andreotti non è mafioso” (Il Giornale), “Mafia: definitiva l’assoluzione di Andreotti” (Corriere della Sera), “La Cassazione assolve Andreotti: non è mafioso” (La Stampa). Questi sono solo alcuni dei titoli di prima pagina sui maggiori quotidiani nazionali datati 16 ottobre 2004, all’indomani della pronuncia della Corte di Cassazione sul processo a carico di Giulio Andreotti, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa dalla Procura di Palermo. Gian Carlo Caselli, ex magistrato ed ex procuratore di Palermo, conosce bene la differenza (sostanziale) che passa tra l’essere assolto e l’essere prescritto. Ieri sera, martedì 20 marzo, Caselli ha raccontato “La Verità sul Processo Andreotti”, presentando al pubblico del Bookstore Mondadori nelle Vecchie Segherie Mastrototaro il suo nuovo libro, scritto insieme al collega Guido Lo Forte.

Differentemente da quanto sostenuto per anni dai principali mezzi di informazione italiani, l’ultimo grado di giudizio non fece che confermare la sentenza di appello del 2 maggio 2003, nella quale si dichiarava “commesso fino alla primavera del 1980 il reato di associazione per delinquere”, se pur non più perseguibile in quanto “estinto per prescrizione”. Una frase inequivocabile che non lascia spazio a dubbi sui rapporti illeciti tra pezzi di Cosa Nostra ed uno dei politici più importanti della nostra storia contemporanea (sette volte premier e trentatré volte ministro). Ma quella della “assoluzione” di Giulio Andreotti è stata una fake news ante-litteram alimentata non dal web (a cui oggi si attribuisce gran parte della colpa per la propagazione di simili bufale) ma da esponenti della stampa e da figure istituzionali con un nome ed un cognome. Se Silvio Berlusconi si dichiarò “molto felice” per lo storico leader della Balena Bianca, Romano Prodi definì la sentenza della Cassazione “una buona notizia”. Ancora più euforico il commento invece di Clemente Mastella, che dichiarò: “La notizia dell’assoluzione del senatore a vita Giulio Andreotti mi riempie di gioia anche se non mi coglie di sorpresa, perché da sempre sono stato convinto assertore della sua innocenza”.

Rimarranno per sempre impresse nella memoria degli italiani (in gran parte ancora convinti dell’effettiva assoluzione di Andreotti) le immagini dell’avvocato difensore Giulia Bongiorno che il 15 ottobre 2004, in aula di tribunale, gridava gioiosa «Assolto! Assolto! Assolto!» dopo la lettura della sentenza da parte dei giudici di Cassazione. Il caso emblematico del processo Andreotti serve oggi a Gian Carlo Caselli come esempio per far luce sul “negazionismo” tutto italiano dei rapporti tra mafia e politica. Pur avendo dismesso la toga di magistrato ormai cinque anni fa, Caselli è ancora in prima linea nel promuovere la cultura della legalità tra le generazioni più giovani e dal 2014 è Presidente del Comitato scientifico della fondazione “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare”. Un tema, quello delle agromafie, che coinvolge da vicino anche la nostra regione e di cui ha avuto modo di parlare nel corso della nostra intervista.