I vaudevilles di Čechov (“volgarucci e noiosetti”, come lui ironicamente li definiva) si alimentano di svenimenti, sciagure più o meno ridicole, mancamenti ed isterismi a cui il corpo dei personaggi spesso non regge, accasciandosi sul palco. Così gli attori della compagnia Don Pancrazio Cucuziello che ieri, domenica 22 aprile, hanno messo in scena “Di cuore, di vizi e di virtù”, uno studio su 4 atti unici del drammaturgo russo, li abbiamo visti cadere, carambolare, rialzarsi faticosamente per crollare nuovamente al suolo. Dopo aver portato in scena lo scorso anno il “Sarto per signora” di Georges Feydeau, questa volta gli interpreti della compagnia biscegliese si sono cimentati con la grandezza di un autore che voleva trasformare il dramma in farsa (al contrario proprio di Feydeau, che invece caricava le sue commedie di drammatico patetismo). 

La scenografia minimale sembra evidenziare il predominio della “parola” (Čechov, diceva Majakovskij, è un artista che “si occupa in primo luogo della parola”). Parola che “genera l’idea” e che non è generata da essa, come invece avveniva nel realismo storico (di Dostoevskij, Turgenev, Tolstoj) a cui Čechov si ribellava togliendo lo sguardo dal “reale” e ponendolo sui suoi “effetti”. Così gli accadimenti scatenanti di diverbi e scontri avvengono prima della vicenda vera e propria, fuori scena, ed i personaggi si trovano a viverne le conseguenze (accade ciò ne “La proposta di matrimonio”, dove un desiderio di nozze si impiglia nelle recriminazioni sui confini di proprietà divise anni prima). Quando la narrazione, in assenza di una trama linearmente costruita, è affidata alle sole interazioni tra persone, assume un ruolo fondamentale la figura dell’attore ed emerge la necessità di un “gesto psicologico” a cui affidare la descrizione della coscienza del proprio personaggio, attraverso un movimento che impegni tutto il corpo e sia eseguito con intensità.

Il giovane regista Mattia Galantino, non volendo imporre una rigida (ri)esecuzione del testo ai propri attori, ha quindi deciso di lasciare ai ragazzi della Compagnia la libertà di “agire”, di condurre la commedia senza essere rinchiusi in unico ruolo ma con la possibilità di essere più cose allo stesso tempo: altri personaggi, anonime voci di un coro o addirittura elementi di scena (una panca su cui sedersi, un candelabro per fare luce). Lo spazio scenico, che si compone solo di alcune sedie o di una finestra che ricorda quelle dei teatrini per le marionette, si fa e si disfà davanti agli occhi del pubblico e può essere addirittura “prodotto” dalle parole di un attore, che richiama durante il suo monologo immagini che si creano e si distruggono continuamente. Perciò, anche le imprecisioni (inevitabili per una compagnia così giovane) e gli imprevisti tipici di una “prima” sembrano paradossalmente assumere un carattere diegetico nel dinamismo di una rappresentazione affidata principalmente a gesti e movimenti (sempre imposti dalla “parola” imprescindibile di Čechov, ma in grado di assumere valore a sé). 

In scena ci sono stati Mauro Todisco, Angela De Cillis, Alessandro Caruolo, Ambra Amoruso, Alessia Amoruso, Siria Zagaria, Carlo Salvemini, Francesco Andriani, Maurizio Buonarota e Paolo Pasquale. Tanti applausi, grande entusiasmo del pubblico. “E tutto il resto”. 

Photogallery a cura di Daniela Mitolo