Una folla di gente ha riempito gli spazi delle Vecchie Segherie Mastrototaro in occasione del dibattito provocatoriamente intitolato “A Casa Loro: bambini ed emergenze nel mondo”, organizzato dalla Fidapa di Bisceglie e che ha visto la partecipazione del portavoce Unicef Italia Andrea Iacomini, già ospite in passato della nostra città per altri incontri dedicati al fenomeno migratorio ed alla tutela dei diritti umani. Se l’articolo 3 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, afferma che “l’interesse superiore del fanciullo debba essere una considerazione preminente” e che gli Stati “devono impegnarsi ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere”, è anche vero che proprio questo Trattato, firmato da tutti i Paesi più importanti, è “il più condiviso ed allo stesso tempo violato”, come ricordato da Iacomini. Ciò rende chiara l’importanza di continuare a parlare dei tanti conflitti invisibili che ancora oggi incendiano territori su cui si sono colpevolmente spenti i riflettori dell’informazione.
Tanti i ragazzi del liceo scientifico “Leonardo da Vinci” e dell’I.I.S.S. “Giacinto Dell’Olio” presenti alla manifestazione, alcuni dei quali hanno svolto le loro ore di alternanza scuola lavoro nella “sQuola Garibaldi” di Bisceglie, una realtà che è stata resa possibile grazie allo sforzo tenace dei volontari che hanno deciso di dedicare parte del loro tempo all’insegnamento della lingua italiana, e non solo, ai migranti attualmente ospitati in città. Dalla “sQuola” Garibaldi, fieramente con la “q”, come spiegano gli organizzatori, sono transitati centinaia di stranieri e numerosi docenti, a formare un gruppo che comprende professori ma anche giovani studenti e cittadini sensibili al problema. La stessa moderatrice della serata, la studentessa universitaria di giurisprudenza d’impresa Fabiola Papagni, è stata tra le partecipanti più attive al progetto della “sQuola”. Con la sensibilità maturata conoscendo in prima persone le storie dei tanti migranti incontrati a Bisceglie, la giovane intervistatrice ha interloquito con Iacomini su alcuni dei temi di maggiore attualità. Primo fra tutti la mancata approvazione della legge sullo “ius soli”, che ha negato di fatto la possibilità a migliaia di ragazzi nati in Italia da genitori stranieri di diventare cittadini italiani. Iacomini, attraverso una definizione che ha scontentato alcuni rappresentati delle istituzioni e che gli ha procurato anche diverse minacce via web, ha definito la vicenda parlamentare con una parola forte ma non inappropriata: “incivile”. “Si è fatto credere agli italiani che lo ius soli avesse qualcosa a che fare con la nuova immigrazione, quando invece non c’è nulla di più falso: i genitori dei bambini e dei ragazzi destinatari dello ius soli dovevano essere in possesso del diritto di soggiorno permanente o del permesso di soggiorno di lungo periodo”, ha spiegato il portavoce Unicef Italia.
Non sono “viaggi”, non sono “migrazioni”, non sono “spostamenti”: sono fughe. Fughe da situazioni drammatiche che non nascono oggi, ma sono frutto di politiche coloniali e di logiche di potere che hanno radici profonde. In quei luoghi si continua a morire anche quando non vengono utilizzate armi chimiche (ovvero nei momenti in cui l’attenzione mediatica è massima): perché le morti per le malattie più banali, diarrea o febbre, per le condizioni di miseria nelle quali si vive, quelle causate da semplici proiettili che squarciano la pelle, forse fanno meno clamore ma sono lì, invisibili agli occhi di noi europei e racchiuse in qualche indagine statistica sui danni collaterali di questo o quel conflitto. I movimenti umani che arrivano nel nostro Paese sono causati da guerre di enormi dimensioni (come quella siriana, “una delle più grandi tragedie dal dopoguerra ad oggi”, come è stata definita dallo stesso Iacomini) e da guerriglie territoriali meno eclatanti ma non meno cruente (“Salvini mi ha dato del pazzo quando gli ho fatto notare che si muore anche in Nigeria”). Se la strategia che si intende seguire resterà quella della chiusura delle frontiere o del “contenimento”, ovvero dell’opportunità di stringere accordi con i Paesi di sbarco per impedire alle persone di partire (senza curarsi delle condizioni disumane cui queste sono costrette a vivere una volta che vengono fermate ed incarcerate dalle autorità locali), l’Europa non potrà dire di aver tenuto fede ai valori sulla quale è stata fondata decenni fa. Un’Europa di cui fanno parte anche diversi Paesi dell’Est che sembrano aver dimenticato la loro storia di migrazione e di cammino, che oggi si sentono in dovere di chiudersi e di ritrarre la mano che invece dovrebbero tener tesa verso gli altri.
“Quando io avevo 16 anni, mia madre mi faceva trovare sempre sul comodino una copia de L’Espresso e mi spronava ad informarmi perché non era felice della mia ignoranza su quello che avveniva nel mondo: eravamo verso la fine degli anni ’80 ed il muro di Berlino stava per crollare”, ha raccontato Iacomini. “Adesso a voi ragazzi”, ha proseguito il portavoce Unicef Italia rivolgendosi alla giovane platea, “non basta che accendere il cellulare per conoscere ciò che avviene in Africa ed in altre regioni dimenticate dai media generalisti”. Eppure sarebbe ancora troppo poco. Perché senza una adeguata campagna di sensibilizzazione in grado di scardinare quelle che non sono semplici “fake news” (un termine che vuol dire davvero poco), ma narrazioni false basate sulla mistificazione di numeri e dati (come quella relativa ad una situazione di “invasione” smentita dai documenti ufficiali), non si potrà mai cambiare nulla. In questo senso i media hanno la grande responsabilità di dare costanza a notizie che compaiono solo saltuariamente nei telegiornali nazionali e che sicuramente non vengono trattate con la stessa attenzione con la quale vengono “raccontati i grandi delitti passionali che occupano le prime pagine dei nostri quotidiani e persino i palinsesti dei programmi di intrattenimento”.