Riceviamo e pubblichiamo una lettera della biscegliese Marisa Contò. La nostra lettrice ha deciso di raccontare la battaglia che sta affrontando contro il cancro per evidenziare alcuni importanti aspetti sulle eccellenze sanitarie pugliesi. Riportiamo qui di seguito e per intero la lettera inviataci.
“Fino a qualche anno fa per identificare questo male si utilizzava la frase “il male del secolo”…oggi, quando se ne parla, spesso viene chiamato “quel male che oramai affligge tutti”. Chiaramente ognuno di voi avrà identificato queste perifrasi col termine cancro.
Quando ad ammalarsi di cancro o a scoprire un tumore sono persone a te vicine o, addirittura care, la cosa è sicuramente sconvolgente. Soffri soprattutto il senso d’impotenza dell’essere consapevole di non poter fare nulla, se non essere presente o essere una spalla nei momenti di sconforto. Quando il male colpisce te, la musica è ben diversa. Il senso di impotenza ti affligge comunque, poichè sai che non hai alcun potere su qualcosa che non puoi controllare ed allo stesso tempo si aggiunge un timore: quello di diventare un numero di ticket, la percentuale di una statistica, una parte di quel “X numero di persone che nel 2019 hanno scoperto di avere un tumore”.
Sono Marisa Contò, ex insegnate di lettere presso l’Istituto di istruzione secondaria di primo grado “Galileo Ferraris” di Bisceglie. Sono sempre stata una persona sana, attenta, dedita al lavoro e a vivere in maniera equilibrata, senza eccedere in nulla. Ho visto parenti e persone ammalarsi e andarsene, in primis mio padre a causa della mancanza di conoscenze in merito al male di cui soffriva e poi mia sorella, con cui ho condiviso il lungo calvario della malattia. Per una persona come me, sempre accorta nei controlli ed alle scadenze, la malattia è stata davvero un fulmine a cielo sereno. Per una persona come me, sempre disponibile e dedita all’altro, pensare di aver bisogno di qualcuno e di non poter, inevitabilmente, bastare a me stessa, è stato avvilente.
Il mio primo pensiero, dopo aver appreso la triste diagnosi, è stato quello di non voler divenire un”numero” su un tavolo chirurgico. Non volevo essere un pezzo di carne da tagliuzzare, ma un’anima dentro il suo guscio che si era ammaccato ed ora andava ricostruito, mettendo insieme alla meglio i pezzetti. Credo che per una donna la femminilità sia molto importante, dunque, essere colpita in una delle espressioni della mia femminilità non è stato certo facile da affrontare. Per mia fortuna, nonostante si annoverino e si menzionino ospedali a Roma o a Milano, con professori e professoroni, dottori e brillanti accademici, la mia salvezza, almeno fino ad oggi, l’ho incontrata a non più di 70 km da casa mia, ad Acquaviva, e precisamente nel reparto di Chirurgia I dell’ospedale Miulli. Il dottor Massimo Lupoli non solo mi ha operata, ma mi ha tenuta per mano in questo calvario. Di sicuro devo ringraziare tutta l’equipe, primario, dottori, medici ed infermieri, ma il dottor Lupoli ha fatto ciò che difficilmente chi lavora nel ramo sanitario fa: ha scoperto il suo fianco destro, mostrandomi le sue cicatrici. Ha parlato della sua esperienza come paziente, facendomi sentire subito protetta ed al sicuro. Quando mi raccontava del suo essere paziente, ho avvertito nei suoi occhi, nel viso e nelle parole di questo chirurgo la stessa angoscia che attanagliava me in quel momento, allora ho pensato che il naufragio nel labirinto della mia vicenda sanitaria mi aveva trasportato sulla sponda giusta.
Non è facile parlare di sè, ancor di più nella malattia, ma ho deciso di raccontare la mia vicenda non per fare una sterile lode di un chirurgo o di un ospedale, ma per far comprendere che anche vicino casa nostra abbiamo delle eccellenze, basta riporre un po’ di fiducia. Nella nostra regione ci sono esperienze di formazione degnissime, che non hanno nulla da invidiare ad aziende ospedaliere o universitarie del resto d’Italia o del mondo. Purtroppo alla ribalta, alla cronaca, giungono solo le vicende deplorevoli perchè sono quelle a fare la notizia. Troppo spesso sentiamo di giovani e brillanti ricercatori che vengono lasciati a terra o a casa, che fanno ricerca quasi gratuitamente, e poi decidono di portare la loro esperienza e le loro conoscenze all’estero? Dobbiamo avere un po’ di fiducia in coloro che investono tempo, formazione ed esperienza qui al sud, solo così aiuteremo le generazioni presenti ad affermarsi nel mondo del lavoro.
Grazie dottor Lupoli, mi auguro che la tua carriera sia sempre così brillante e costellata da persone a cui darai la possibilità di elogiare la tua enorme competenza professionale!”