Antonio Padellaro, già direttore de L’Unità e de Il Fatto Quotidiano, è stato ospite ieri sera, venerdì 28 agosto, dell’undicesima edizione di Libri nel Borgo Antico, per presentare il suo ultimo libro “La Strage e il Miracolo: 23 gennaio 1994. La Mafia all’Olimpico”. Padellaro era lì, in quella domenica romana di campionato di serie A, insieme ad altri 44 mila tifosi che affollavano lo stadio per assistere a Roma-Udinese. Nessuno sapeva che, proprio in quel momento, sulla collina di Monte Mario, sotto alla Madonnina spesso oggetto di invocazione durante le partite, Gaspare Spatuzza e Salvatore Benigno stavano aspettando, radiocomando alla mano, di far saltare in aria una Lancia Thema imbottita di esplosivo e tondini di ferro che era stata posta su viale dei Gladiatori, antistante l’entrata dell’impianto sportivo. Il telecomando non funzionò. Un “miracolo” (inteso non solo in senso laico, ma addirittura processuale, dal momento che il termine ricorre nelle carte di alcune sentenze) che scongiurò il realizzarsi di quella che sarebbe potuta essere la più sanguinosa strage di mafia mai avvenuta in Italia.
Ma c’è un altro stadio altrettanto importante in quelle ore, contrariamente a quanto il titolo del libro potrebbe suggerire: il Meazza di Milano. Lì, al termine della partita Milan-Piacenza, l’allora presidente del club rossonero Silvio Berlusconi preannunciava ai cronisti la decisione di “scendere in campo”. Qualche giorno dopo avrebbe inviato a tutte le televisioni il celebre videomessaggio che cominciava con le parole: “L’Italia è il Paese che amo”. Berlusconi viene nominato con una perifrasi (quello di Canale 5) da Graviano durante un fondamentale incontro al Bar Doney di via Veneto a Roma, avvenuto tra il 19 e il 21 gennaio 1994 per dare l’incarico a Spatuzza di progettare la strage. Lo scopo? Quello di dare un colpo definitivo allo Stato, piegandolo al ricatto di Cosa Nostra in un momento di grande instabilità politica (con elezioni imminenti e Parlamento dimissionario).
Proprio quella conversazione avvenuta al Bar Doney tra Graviano e Spatuzza è divenuta centrale anche in un altro processo, quello su ‘Ndrangheta Stragista, la cui sentenza di primo grado, pronunciata lo scorso 24 luglio, ha messo nero su bianco che l‘ndrangheta ha partecipato assieme a Cosa Nostra alla stagione stragista per cambiare con il sangue il corso della storia d’Italia nel 1993-1994. È proprio durante quella conversazione al Bar Doney che Graviano spiega al suo sicario un po’ perplesso la ragione per cui è necessario organizzare l’attentato all’Olimpico: “I calabresi si sono già mossi”. A condurre testardamente l’indagine dal 2013, nel silenzio più totale dei grandi organi di informazione, è stato il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Come avvenuto per il processo Trattativa (per cui si è passato dalla delegittimazione al silenzio più totale dopo la prima sentenza di condanna), anche in questo caso i grandi giornali e le grandi televisioni hanno deciso di ignorare quasi completamente la notizia. E invece proprio i più recenti sviluppi processuali ci dicono che ciò che viene raccontato da Padellaro nel suo libro non è archeologia, ma qualcosa su cui è ancora necessario fare chiarezza (sappiamo perché è stata posizionata la Lancia Thema carica di esplosivo, ma non sappiamo perché venne rimossa e rottamata nonostante gli ordini, inizialmente, fossero quelli di ritentare con l’ordigno).
Padellaro racconta quelle ore concitate sfuggendo alle categorizzazioni, mettendo al servizio del lettore la propria esperienza giornalistica nel porre in relazione date, nomi, luoghi e fatti, ma anche suggestionando (come ogni opera di narrativa dovrebbe fare) con immagini immediatamente evocative e accennando dubbi che non sappiamo se saranno mai fugati.
FOTO A CURA DI LETIZIA VALENTE