Michele D’Addato, classe 1921, è nato il 20 febbraio a Bisceglie ed è stato partigiano della Resistenza italiana (nome di battaglia: Pancho) in Piemonte e più precisamente nella Valsesia e Valsessera dal 9 Settembre del 1943 sino alla liberazione dal nazifascismo, avvenuta il 25 Aprile del 1945. A lui è intitolata la sezione biscegliese dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani Italiani). Di seguito riportiamo integralmente il ricordo del presidente Antonello Rustico:
“Il partigiano Michele, quel noto 8 settembre, era a Biella, all’epoca in provincia di Vercelli, presso la Caserma Noe del 53° Reggimento Fanteria, come militare. Questo Reggimento aveva partecipato alla campagna di Russia e solo una parte era rimasto a Biella. Michele in realtà aveva lasciato Bisceglie già qualche anno prima e non per motivi militari, bensì per la sua passione, a quel tempo divenuta anche professione: il calcio. Era stato ingaggiato prima a Bergamo nell’Atalanta all’età di 17 anni (anno 1938 e poi – dopo aver iniziato il servizio militare – fu trasferito per l’appunto a Biella.
Segnaliamo anche il fatto che negli anni 1939-1940 e 1940-1941 (tra i 19 e i 21 anni), come dimostrano i registri di calcio, Michele ha giocato in due campionati nella polisportiva Brindisi Calcio. I figli e la moglie rammentano il fatto che Michele raccontasse di un bombardamento (avvenuto nel Novembre 1940) che distrusse diversi palazzi della città di Brindisi e il porto militare. I primi giorni a ridosso dell’8 settembre furono, come dappertutto per i militari italiani, di grande confusione e sbandamento. Anche per Michele quei giorni non furono facili. Trovò riparo presso una famiglia di conoscenti, originaria di Bisceglie ma trasferita lì già da molti anni. La località era Roasio, in provincia di Vercelli, e presumibilmente si pensa che il periodo di rifugio in questa casa sia stato un arco temporale di un mese circa. Nel mese di novembre del 1943, proprio in quelle zone del Novarese e Vercellese, si formano le prime formazioni partigiane di cui le più famose sono le diverse divisioni Garibaldi con a capo Cino Moscatelli.
Michele farà parte della prima Divisione Fratelli Varalli e poi della 82° Brigata “Giuseppe Osella”. Sostanzialmente, con il grado di caposquadra del vettovagliamento, rimarrà in quelle zone sino alla liberazione dal nazifascismo. Valsesia e Valsessera saranno purtroppo segnate da vari massacri compiuti dai nazifascisti e forse proprio questo sarà un elemento che porterà il partigiano Michele a non parlare spontaneamente di quel periodo della sua vita trascorso tra le montagne piemontesi. Non a caso il Piemonte è la regione d‘Italia più decorata e anche quella che ha dato il contributo di sangue più alto nella guerra di liberazione dal nazifascismo.
Non lontano da Roasio, il 9 agosto del 1944 a causa di una rappresaglia nazifascista morirono 22 persone, a causa di due soldati tedeschi uccisi dai partigiani. E qui ci sono alcuni paesi famosi per stragi. Ricordiamo ad esempio due luoghi molto vicini a Roasio: Buronzo e Curino. Tuttora, nel centro di questi due paesi, vi sono monumenti che ricordano le stragi summenzionate, purtroppo note per la ferocia degli eccidi perpetrati. Spesso avvenivano rastrellamenti e la vita in quegli anni deve essere stata proprio dura. Dei ricordi che i figli e la moglie hanno possiamo menzionare “cibo scarso e difficoltà di reperire anche l’acqua, freddo durante l’inverno e rischio quotidiano della vita quando si scendeva in paese per rifornirsi di alcuni generi alimentari”.
La vita quotidiana si svolgeva nascondendosi tra le montagne e i casolari abbandonati per ripararsi dalle intemperie e per creare dei collegamenti con la popolazione civile. I figli riportano che Michele raccontava che, nonostante la sua intransigenza, il celeberrimo Moscatelli accettò la sua scelta. Cosa non facile in quelle condizioni, perché la fiducia e la disciplina erano il cardine di un sistema precario e comunque molto rischioso per l’incolumità propria e altrui.
Importante è stato il sostegno della popolazione civile, che ha sempre protetto e sostenuto con viveri e altri beni di prima necessità questi giovani partigiani, a rischio anche loro della propria vita e di quella di tutta la famiglia. Dopo la liberazione, il partigiano Michele ritornò a Bisceglie, impiegando quasi un mese e vi arrivò nel giugno del 1945. La sua storia continuò a Bisceglie ma con la sua passione e professione del calcio ebbe modo di viaggiare molto e cambiare spesso domicilio.
Morì nel 1982, lasciando dei ricordi attraverso la moglie e i figli che rammentano bene anche piccoli episodi di vita quotidiana trascorsa lassù sulle montagne”.