La vicenda che stiamo per raccontare, anzi, la vicenda che la protagonista del mesto episodio ci ha raccontato, tra un sorriso nervoso che celava comprensibile malcontento e con gli occhi di chi ha vissuto una potente ingiustizia, ha dell’incredibile.
Soprattutto se rapportato in un periodo storico in cui il lavoro, secondo protagonista della storia, manca.
Una mancanza, quest’ultima, che si sente, che avvilisce, che deprime.
Marta, la chiameremo così, rinnova il suo quotidiano e instancabile appuntamento tra vetrine ed esercizi commerciali.
Non per shopping, ma alla strenua e indefessa ricerca di un lavoro.
Un lavoro da commessa, un lavoro che permetta a Marta, ventisettenne diplomata e col sogno, mai realizzato ahimé, di diventare insegnante, di essere leggermente più indipendente da suo marito (sì, dimenticavo, Marta è sposata da pochi anni) e di crescere i suoi due bambini con meno difficoltà.
Sia chiaro: Marta non adora lamentarsi, non si lamenta mai, Marta ha sempre il sorriso sulle labbra, talvolta amaro, ribadiamolo, ma non è sua abitudine sciorinare lagnanze.
Suo marito è uno stakanovista sul lavoro e i suoi due piccoli sono il suo sole.
Un sorriso e un sole spenti, qualche mattina fa, dal titolare di un negozio di abbigliamento in pieno centro a Bisceglie che, avendo letto sul CV di Marta la sua età e avendo adocchiato il più grande dei suoi bambini, le ha risposto lapidario: «Mi spiace, signora, siamo un franchising, abbiamo regole fisse dettate dall’alto: stiamo cercando ragazzine non sposate e senza figli. Non procedo nemmeno nella lettura del suo curriculum».
Il disappunto di Marta, lo si evince tutto dalle parole che usa per raccontarci l’episodio: «Leggo ‘cercasi commessa’ sulla vetrina di questo negozio in zona centrale in città, entro, ero con mio figlio, il più grandicello dei due, lascio il mio curriculum al titolare, lui inizia a leggerlo, ma ha come un moto di irrigidimento in due momenti: quando scorge sul curriculum la mia età e vedendo che tenevo per mano mio figlio. Il titolare – continua Marta – mi chiede ‘Signora, ma sta cercando lavoro per lei?’, è chiaro fosse per me, no? Ed è in quel momento che gli chiedo se costituisse un problema l’essere sposata e mamma. Lui non risponde palesemente di sì, ma mi dice che hanno regole precise e che non assumono donne della mia età, per di più sposate e con figli».
Non incrocia il nostro sguardo Marta, Marta è pervasa da rabbia e scoramento.
«Avere ventisette anni è un problema in questo Paese. Essere sposata è un limite. Essere mamma è un ostacolo. Tutto ciò è decisamente intollerabile».
E ci permettiamo di condividere il pensiero di Marta.
Questo è un Paese troppo impegnato a pensare alle quote rosa.
E troppo poco impegnato a pensare che la realizzazione della donna in quanto donna è un diritto sacrosanto e inalienabile.
Quante altre donne come Marta domattina, o già da oggi, usciranno da un negozio con il curriculum stropicciato tra le mani, con il rifiuto di un titolare e con lacrime negli occhi e con il magone in gola da nascondere davanti al volto dei suoi bambini?