E’ andata in scena ieri sera, giovedì 17 dicembre, presso il Teatro Garibaldi, la nuova trasposizione teatrale di una delle opere più conosciute e apprezzate del regista e autore Annibale Ruccello, tra i massimi esponenti del teatro partenopeo contemporaneo. Protagonista di eccezione di questa nuova riedizione di Notturno di donna con ospiti Giuliana De Sio, attrice napoletana di lunga esperienza, che ha dato vita, con la sua bravura e la sua energia, ai turbamenti e alle indecisioni del personaggio di Adriana.
Annibale Ruccello mette in scena una delle tematiche fondamentali del suo atipico teatro: quella dello straniamento dalla propria realtà effettiva, inteso come sradicamento dalle proprie origini e perdita dei propri valori costitutivi. Pasolinianamente parlando è come se lo spirito della classe dominante, rappresentato dal feticcio della televisione e dalle radiofoniche canzoni americane, avesse fagocitato tutte quelle culture particolari che alimentavano la vita della gente di strada, delle periferie partenopee. Lacerati tra una sempre più netta perdita di identità e il vitale quanto “disperato diritto a restare se stessi”, i personaggi di questo Notturno sono di fatto “deumanizzati”, corpi senza più libera coscienza. Emblematico è il personaggio di Rosanna, stereotipo della donna emancipata che non può fare però a meno di rivelare le sue origini popolane, costantemente in bilico tra la figura di scalatore sociale e quella di massaia. O quello di suo marito, Arturo, belloccio dalla parlantina settentrionale, simbolo invece di una irrecuperabile omologazione culturale, di un arrivista pronto a invadere il mondo della televisione. Per questo la catarsi conclusiva, inaspettata esplosione di violenza, simile in molti aspetti alla strage finale di Travis in Toro scatenato, rappresenta quello che il filosofo e critico russo Slavoj Žižek chiamerebbe “sfogo”. La violenza, infatti, non è mai causata da semplice pazzia, esaurimento, bensì è la naturale conseguenza di una irrimediabile “perdita” e “sottrazione”, dello smarrimento definitivo dei codici essenziali con cui poter capire la realtà che ci circonda. Adriana, Medea alla rovescia, è ormai sopraffatta da una vita che non riesce più a comprendere, a percepire come realmente sua. Vero protagonista della vicenda è quindi quel “perturbante” di stampo freudiano che alimenta la paura di non poter più distinguere quello che una volta era familiare da ciò che adesso è estraneo e pericoloso. Lo straniamento dei personaggi viene trasmesso, grazie a delle prove attoriali maiuscole, direttamente allo spettatore che, burattino nelle mani della storia, viene travolto dalla costante dissimulazione dei caratteri, dalla metamorfosi perpetua di emozioni e sentimenti.
Data la storia personale di Ruccello, e i suoi inizi di carriera presso quel Teatro del garage che ha dato i natali artistici a registi quali Mario Martone, è impossibile pensare il suo “teatro” al di fuori di un contesto prettamente cinematografico. Lo straziante finale, con il triciclo kubrickiano di Shining, è la sintesi perfetta di una rappresentazione basata sulle distonie di tono, sul capovolgimento morale e affettivo dei personaggi. Se in altre sue opere (vedasi la splendida Le cinque rose) i riferimenti sono quelli classici del cinema hitchcockiano, con narrazioni quadrate e uno spiccato gusto per la suspense, in questo Notturno trionfa la (sur)realtà onirica e conturbante di Kubrick e Argento. Ma non solo, la completa assenza di emozioni, la banale e inquietante facilità con cui amori e affetti vengono scambiati e passati di mano, ricorda le tragedie psicologiche e famigliari di certe pellicole di William Friedkin.
Ben presto i personaggi inizialmente relegati al di fuori della scena, in quanto fuori dal tempo, rientrano prepotentemente nella contemporaneità della narrazione, a dimostrazione di come il “passato” non sia in realtà mai andato via e di come i suoi segni brucino ancora come ferite aperte. E’ per questo che i personaggi dei due genitori, da essere intrappolati in una dimensione “altra”, nelle pieghe più recondite della memoria di Adriana, si impongono ben presto come gli unici personaggi realmente “vivi”, in evidente contrasto con quelli principali della scena, impotenti e anestetizzati. Ruccello mette in scena un drammatico e violento complesso di Edipo, in cui la femminilità della protagonista finisce per scontrarsi con quella della propria madre. Il completo ribaltamento della realtà, la “mammina” uccisa e il padre che torna in vita nelle visioni della mente ormai distorta della protagonista.
Usciti dal teatro, quindi, la sensazione è quella di disagio e inquietudine per una rappresentazione che, sotto un aspetto apparentemente farsesco, nasconde una tragedia umana violenta e feroce, resa vivida e credibile dal caratteristico vernacolo partenopeo.