Dopo una prima serata dedicata ai teatranti più giovani, con la rappresentazione de Il Piccolo Principe, il laboratorio teatrale Inscenando, curato e diretto dal regista e attore biscegliese Mattia Galantino, giunge alla sua naturale conclusione con la messa in scena de “L’albergo del libero scambio”, commedia del 1894 scritta da Georges Feydeau e Maurice Desvallières. A salire sul palco del Teatro Politeama aspiranti attori dai 17 ai 25 anni che, nel corso di questo ultimo anno, hanno dedicato gran parte del loro tempo allo studio e alla conoscenza dei meccanismi teatrali, sotto la guida attenta di Galantino. Ambientato nella Parigi degli anni ’50, il racconto prende il via da alcuni litigi coniugali tra personaggi appartenenti alla altissima borghesia francese, il signore e la signora Pinglet e i coniugi Paillardin. A complicare le cose ci penserà un arrivo inatteso, quello dello stralunato Mathieu, afflitto da gravi scompensi linguistici, e delle sue figliolette. In una divertente quanto grottesca sequenza di equivoci, tradimenti e bugie, i protagonisti del racconto si ritroveranno riuniti, chi per un motivo e chi per un altro, nel malfamato “albergo del libero scambio”, una stamberga divenuta con gli anni uno squallido nido di amore per coppie clandestine.

La satira di Feydeau è prima di tutto una satira anti borghese, che irritando causticamente mette a nudo le ipocrisie di una classe sociale composta da dissimulatori, voltagabbana e saltimbanchi. Una farsa di cui è teatro un decadente albergo sperduto nei sobborghi parigini, uno spazio che ben si presta ad essere incasellato nella ormai celebre definizione di “non luogo” data da Augé, in cui i personaggi mentono a se stessi prima che ai propri interlocutori. Un albergo fuori dal tempo, ma immerso in una storia che si ripete ciclicamente, quella degli uomini, delle loro debolezze e delle loro vergognose viltà. La verità effettuale della storia è il conflitto: fra gli stati, fra i gruppi sociali, fra gli individui. Per questo si combatte una lotta senza soste e senza regole, in quanto gli uomini sono caratterizzati da volubilità, ingratitudine, cupidigia e falsità. Natura che può variare nelle forme e nei modi in cui si manifesta, ma è sostanzialmente immutabile. La verità ultima della commedia, quella che si nasconde in un intricato groviglio di menzogne e inganni, è quella di essere mossi da “fiamme eteree”, governati da maschere di sogni erotici e impulsi carnali e materiali. Le “cameriere” della stamberga si limitano quindi ad osservare con freddo e quasi compiaciuto distacco il tentativo dei personaggi di cavalcare una cresta isterica e patetica fino al punto di rottura.

Ma al movimento caotico della narrazione si contrappone il plastico immobilismo di una classe sociale condannata a rimanere sempre uguale a se stessa. E per questo motivo, nonostante una apparente e nevrotica frenesia degli avvenimenti, tutto è destinato a tornare al proprio posto. È così che le colpe dei “padroni”, di vili individui disposti a tradire (e a tradirsi) per fuggire dalla quadratura della propria noiosa esistenza, ricadono nel finale sulla povera governante Vittoria e sul giovane ed ingenuo Massimo, aspirante poeta e nipote di Paillardin. I protagonisti, strozzati dall’anello dell’essere nietzschiano, devono fare i conti con la natura edipica del tempo in cui sono immersi, in cui ogni momento è destinato a divorare il precedente, e ogni tassello è destinato a ritornare nella sua posizione di partenza.

I ragazzi di Inscenando hanno portato sul palco la loro passione e la loro voglia di divertire, insieme a quelle naturali incertezze che possono posarsi sulle spalle di attori giovani e alle prime armi. Teatranti emergenti che, con la loro contagiosa vitalità, sono stati disposti a mettersi in gioco, a confrontarsi con il pubblico e con un testo dalle mille sfaccettature, riuscendo a mantenere la concentrazione per tre lunghi atti e a conquistare il sorriso dei presenti.

Foto di Gabriele Caruolo