Lasciato il vecchio anno alle spalle, abbiamo tracciato un bilancio delle attività e della situazione legata a povertà e solidarietà insieme a Rufina Di Mougno, responsabile Caritas e Progetto “Recuperiamoci – ridiamo vita al cibo”.
Intanto, Rufina, come avviene la cooperazione, il dialogo, l’interazione tra le diverse Caritas parrocchiali?
«La Caritas cittadina, attraverso i suoi referenti parrocchiali, si riunisce una volta a settimana per capire quali siano le migliori strategie di intervento sul territorio. Le povertà sono aumentate, le nostre risorse sono sempre esigue e dobbiamo cercare di monitorare e evitare di elargire cibo e vestiario a chi approfitta di questo nostro servizio girando di parrocchia in parrocchia. Ciascuno assiste gli utenti della propria parrocchia, questo è il princio che abbiamo adottato. Da un po’ di tempo abbiamo istituzionalizzato questo principio mettendo in rete dati e necessità degli utenti: tutte le parrocchie hanno aderito al sistema GEMACA che consente con precisione il monitoraggio degli aiuti alle persone bisognose».
Si avverte anche per la Caritas, come per altre realtà associative, una disaffezione da parte dei volontari, soprattutto giovani?
«Se c’è disaffezione è colpa nostra: è compito nostro stimolare, spronare i giovani a sentirsi utili, a essere attivi. Proposte che li vedano protagonisti passivi servono a poco. Da questo punto di vista non soffriamo questa disaffezione, abbiamo volontari soprattutto tra gli studenti del quarto e del quinto anno del Liceo “da Vinci” di Bisceglie».
Cosa intendi dicendo che “le povertà sono aumentate”?
«Più che aumentate, sono cambiate. E’ diventata più fragile la famiglia dal punto di vista economico. Nuove povertà sono i separati, gli imprenditori costretti a chiudere le aziende, i pensionati che si trovano a sostenere le spese dei figli che non ce la fanno. Togliamoci dalla mente l’idea dell’abbinamento povero uguale extracomunitario. Ormai la maggior parte sono italiani e anche nostri concittadini. Altro fenomeno è quello dei padroni di casa che non percepiscono l’affitto. Tutto è concatenato e la povertà diventa una spirale dalla quale uscire è difficilissimo. Conoscete bene casi di gente che decide di andare a dormire in macchina, a vivere in stazione o in parrocchia o in un dormitorio che resta comunque una soluzione temporanea atta a porre le basi per un reinserimento nel mondo del lavoro. Così purtroppo non è».
Passiamo al progetto “Recuperiamoci”: gli esercizi commerciali che collaborano sono aumentati o no rispetto agli anni precedenti?
«Si, sono aumentati. Da questo punto di vista c’è una squisita generosità, una stupenda sensibilità. Non possiamo affatto lamentarci. Non ci fanno mai mancare il loro supporto soprattutto nelle quantità dei prodotti che ci danno, verdura, pasta, pane e rustici. Questi ultimi possono sembrare una banalità, ma invece sono indispensabili per coloro che non ce la fanno a cucinare a casa perché non hanno il gas».
L’ausilio delle istituzioni?
«C’è stato un contributo di cinquemila euro che costituiscono una prima tranche del contributo complessivo di diecimila. Il Comune è partner del progetto e non ci ha mai fatto mancare il proprio sostegno. Anche con i servizi sociali il dialogo è continuo e utile».
Se qualcuno volesse darvi una mano, come può raggiungervi?
«Può recarsi presso la nostra sede (Via V Caputi, n 5), rendersi conto di cosa ci occupiamo e decidere se darci una mano. Il bene non fa mai notizia, ma in effetti c’è tanta gente che si impegna, che è disposta a dare una mano».