La sezione di Bisceglie dell’ANPI ha presentato venerdì 7 giugno nel Laboratorio Urbano di Palazzo Tupputi, “Novecinquesei – il diario della Resistenza di un soldato”, cioè del colonnello Francesco Grasso, curato dal nipote Roberto Tarantino.

Il Presidente incaricato dell’ANPI di Bisceglie Antonello Rustico, dopo i saluti ed i ringraziamenti dovuti,  ha lasciato al prof. Franco Papagni, che ha dialogato con l’autore e con la ricercatrice della Fondazione Gramsci, Antonella Fiorio, il compito di esplicitaregli obiettivi della scelta. Coniugare la micro storia con la macro storia serve a rendere la storia più affascinante ed avvicinare i giovani al suo studio è stato uno degli obiettivi: ciò diventa ancora più importante proprio nel momento in cui il tema di storia viene eliminato dall’esame di stato.

 Nel corso della serata, dagli interventi dei relatori, i presenti hanno potuto “ripassare” le informazioni storiche riguardanti gli eventi accaduti dopo l’8 settembre del 1943, ma soprattutto conoscere sia avvenimenti di Resistenza al Sud contro i tedeschi, ed in particolare a Barletta ove il colonnello Grasso prestava servizio, sia soprattutto la sorte dei 650mila I.M.I rinchiusi nei lager nazisti, di cui oltre 190 biscegliesi. E questi due aspetti (Resistenza al Sud e I.M.I) sono poco citati nei libri di storia e solo da qualche decennio è iniziato uno studio più approfondito.

Ma chi sono gli I.M.I.?  La dott.ssa Florio ne ha tracciato la storia. Sono internati militari, non prigionieri di guerra.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre l’esercito italiano fu  lasciato senza ordini, soprattutto per quanto riguardava l’atteggiamento da tenere verso l’ex alleato tedesco, per questo si dissolse.

Gli 810mila militari italiani catturati dai tedeschi sui vari fronti di guerra furono considerati disertori oppure  franchi tiratori e quindi giustiziabili se resistenti (in molti casi gli ufficiali furono trucidati, come a Cefalonia). Classificati prima come prigionieri di guerra, fino al 20 settembre 1943, furono poi considerati internati militari (Imi), con decisione unilaterale accettata passivamente dalla RSI che li considerò propri militari in attesa di impiego. Hitler non li riconobbe come prigionieri di guerra (KGF) e, per poterli “schiavizzare” senza controlli, li classificò “internati militari” (IMI), categoria ignorata dalla Convezione di Ginevra sui Prigionieri, del 1929.

Degli 810mila militari italiani catturati, 94.000 optarono subito per la RSI o le SS italiane,  43.000  lo fecero durante l’internamento  nei lager, ma  oltre 600mila IMI, nonostante le sofferenze e il trattamento disumano subito nei lager, rimasero fedeli al giuramento alla Patria, scegliendo di resistere e dicendo “NO” alla RSI.

Nel 1955 Raffaele Cadorna scriveva di loro: “Fu una resistenza attiva, nonostante la loro condizione passiva di prigionieri, perché non fu un abbandonarsi indolente alla fatalità di un destino irrimediabilmente segnato, ma una volontaria decisione che richiese una vigilanza fattiva e una consapevole fermezza d’animo…”

Ed il colonnello Grasso fu tra questi. Nel diario sono raccontate le sofferenze, la fame ed il freddo patito in oltre 20 mesi di permanenza nel campo di Tschenstochau (Czestchova), ma anche la fermezza d’animo ed i saldi valori che gli hanno permesso di sopportare la scarsa alimentazione ed assistenza, la mancanza di controlli igienici e sanitari, la privazione  di tutele internazionali, e l’ obbligo ai lavori forzati.

E, al ritorno a casa, fu processato con l’ignobile accusa di essersi arreso,  come comandante del Presidio di Barletta, al tedesco invasore senza aver esaurito i pochi mezzi di resistenza e di difesa… ma  da Bari non gli erano stati inviati gli aiuti richiesti.

La scelta di Roberto Tarantino di raccogliere e pubblicare il diario del nonno e di raccontare l’ostinazione e la tenacia con cui i suoi genitori si sono adoperati per far conoscere le stragi, la violenza contro i civili, la forza delle donne in quei giorni, tra il 12 ed il 24  settembre del 1943, a Barletta è stata sollecitata dalla consapevolezza che “noi siamo gli ultimi testimoni di questa storia e che, dopo di noi, i giovani, forse,  non avranno la volontà e la consapevolezza di poter continuare la ricerca”. Ed il libro si rivolge proprio ai ragazzi, col suo stile pacato ma fortemente suscitatore di emozioni, poiché, come ha concluso il prof. Papagni, il diario sollecita molti spunti di riflessione sulla storia di ieri e su quella di oggi.