Un cammino lungo circa 7000 chilometri a piedi, dalla Svezia sino al suo Paese di origine, l’Iran. Il giovane iraniano Kamran lo scorso 20 marzo ha cominciato la sua marcia attraverso mezzo mondo per chiedere ad alta voce ciò che gli sta più a cuore: la libertà del suo popolo, quello che ha dovuto abbandonare all’età di quindici anni. Tra le tappe del percorso, che lo ha portato a passare ben nove nazioni, c’è stata anche la nostra città, che lo ha accolto nella giornata di lunedì durante il tratto pugliese del suo viaggio e che gli ha concesso “diverse soste sulla spiaggia” per riprendersi dalla stanchezza della traversata. Kamran ogni giorno ricomincia da zero: cambia città, incontra nuova gente e cerca un posto dove ripararsi per la notte con la sua tenda, stando ben attento ad evitare cani randagi o zone pericolose.
La scelta di questo ragazzo di combattere il fondamentalismo ed il logoramento dei diritti, anche a costo di mettere a rischio la propria vita, coincide con la ricorrenza iraniana del Nawrūz, ovvero le celebrazioni per il nuovo anno. Proprio da questo nuovo inizio, Kamran ha tratto la forza per cominciare una battaglia in nome di un popolo oppresso, una lotta pacifica che mette al centro le persone e la loro dignità anche al di là degli aspetti religiosi. Lui stesso infatti si dichiara “musulmano, ma anche cattolico e buddista”, disposto a credere in tutto ciò che gli sta davvero a cuore, abbattendo muri e cancellando confini. Compagno inseparabile è il suo carrello a tre ruote, un passeggino svedese contenente dieci litri di acqua, una tenda con l’attrezzatura necessaria per accamparsi, gli indumenti ed un simbolo: la bandiera con il leone che sino al 1979 rappresentava la sua nazione e che ora spera di poter riportare nella sua terra di origine per riaprire un dibattito sui diritti umani e sul futuro della propria gente. Un simbolo che oggi è invece bandito, tanto da rischiare l’arresto o l’impiccagione se lo si espone, ma che Kamran vuole posare sulla tomba di Ciro il Grande, fondatore dell’impero persiano, come gesto di ribellione verso l’attuale governo.
“Ribellione” è infatti una delle parole chiave di questo viaggio, come dimostra la scelta di non firmare il “mercy call” nei confronti dell’Āyatollāh e quindi di non rinnovare il proprio passaporto iraniano nel momento in cui il giovane decise di scappare dalla guerra. Ma la marcia di Kamran è anche una storia di sacrifici e fatica, come lui stesso spiega parlando dei dolori articolari che gli hanno immobilizzato un intero braccio in seguito ad un brutto incidente. Nonostante ciò, la tenacia e la determinazione di questo combattente per i diritti è stata ripagata dall’amore ricevuto dalle persone che ha incontrato lungo la sua strada, che non hanno esitato ad aiutarlo nei momenti di bisogno e che hanno deciso in qualche modo di incrociare la propria vita con la sua anche solo per una veloce chiacchierata. “Questo mondo è colmo di amore”, ripete Kamran, “ed era una cosa che non sapevo prima di cominciare questo mio percorso”. Proprio grazie a questo amore verso le persone e l’idea di libertà, egli è riuscito a fare a meno delle cose che invece ci sembrano indispensabili (il denaro, un tetto ed un letto per dormire) e a superare persino gli ostacoli comunicativi con il linguaggio universale della speranza e della solidarietà.
Dalla distanza sua moglie, che lo aspetta a casa in Svezia con i due figli, continua a supportarlo gestendo le pagine social (Walking to Iran for freedom – SwedentoIran) da cui è possibile anche fare donazioni volontarie per sostenere la causa. La sera di lunedì scorso, 26 giugno, Kamran ha salutato il nostro Paese passando da Bari, da dove ha preso il battello per andare in Grecia, ma ha voluto lasciare un messaggio a chi in questi giorni ha messo in condivisione un pezzo di cuore con lui: “Vorrei rimanere per sempre in Italia, ma sono già pronto per un’altra avventura in un nuova nazione. Mi mancherà questo posto. Mi ricorda tanto l’Iran, così come la gente di qua mi ricorda tanto il mio popolo”.