Riceviamo e pubblichiamo un articolo del giornalista Franco Presicci su Dino Abbascià e sul ricordo della sua figura celebrato all’Expo di Milano il 17 ottobre scorso:
Il 22 giugno 2015 è stato commemorato in consiglio comunale; è stato proposto per l’Ambrogino d’oro alla memoria; il 17 ottobre è stata consegnata alla moglie Maria Teresa una targa in suo ricordo. Dino Abbascià ha fatto molto per Milano, ha contribuito a farla grande. Nessuno di quelli che lo hanno conosciuto potrà mai dimenticarlo. Molti lo indicano come esempio; altri vorrebbero essere come lui.
È stato quindi commovente per tutti, a cominciare dalla figlia Annamaria con in braccio una meravigliosa bambina, il momento in cui il giornalista Paolo Massobrio ha fatto il suo nome, invitando sul palco Maria Teresa e il professor Francesco Lenoci. Sul palco, ad attenderli a fianco di Massobrio, lo chef stellato Carlo Cracco e Davide Rampello, il curatore del Padiglione Zero a Expo.
Nel salone che ospitava “Golosaria”, il laboratorio che mette insieme tutte le ricchezze d’Italia, secondo la definizione dello stesso conduttore della manifestazione, il pubblico, numerosissimo, ha applaudito a lungo e tanti si sono alzati in piedi. Mentre sul telone che faceva da sfondo alla ribalta scorreva l’immagine di Dino con un cavolfiore in mano; e poi altre, tante altre, che lo ritraevano con gruppi di persone in varie occasioni di lavoro o di divertimento.
Sempre con quel suo sorriso aperto, incoraggiante. Dino era un uomo generoso, disponibile, semplice. Nonostante avesse raggiunto traguardi di notevole prestigio; fosse al timone di un’azienda ortofrutticola di alto livello, da lui edificata con intelligenza, tenacia, competenza; fosse stato il primo a far conoscere non solo a Milano la frutta esotica; venisse invitato spesso dalla tivù e intervistato dai giornali nazionali, non guardava alcuno dall’alto in basso, non assumeva atteggiamenti da padrone del vapore.
Il cavalier Dino Abbascià, presidente o vicepresidente di enti nazionali, membro di consigli di amministrazione, amico di note personalità dell’imprenditoria, della cultura, dell’arte, della politica, gradiva che anche la gente umile gli desse del tu e lo chiamasse per nome.
Pochi giorni prima di andarsene in un mondo a tutti sconosciuto, dove probabilmente ricopre altri incarichi, mandò un messaggio ai suoi collaboratori: “Non molliamo niente”. Sempre positivo, infaticabile. Dormiva pochissime ore. Alle quattro del mattino, pur essendo sulla plancia dell’azienda, era già all’ortomercato; e il resto della giornata in via Toffetti nel suo ufficio, spoglio, con una scrivania piena di libri sulla Puglia sormontati da carte, cartelle, giornali.
La sua biografia? Per scriverla occorrono pagine e pagine. A cominciare da quando scese dalla Freccia del Sud nel grande ventre della stazione centrale di Milano. Aveva 13 anni e arrivava da Bisceglie, l’antica Biscilia, vita agricola e pescherecci. Dino era nato con l’inclinazione per il lavoro, e lo cercò subito, trovandolo nel negozio di un fruttivendolo che aveva intuito il suo valore, tanto che in un paio d’anni gli affidò l’esercizio. Ma le tasche del ragazzo lacrimavano, e per tranquillizzarle la sera vendeva gelati in un cinema vicino alla bottega.
La strada era in salita, ma Dino aveva le spalle forti, e soprattutto tante idee. Cominciò a realizzarle acquistando il locale di corso di Porta Nuova, di fronte al Fatebenefratelli, e lo trasformò nella boutique della frutta, più bello di quello che aveva visto in via Montenapoleone, quando aveva 16 anni.
Poi conobbe Maria Teresa durante una vacanza, la sposò, si portò tutti i fratelli, e non solo, a Milano, e cominciò l’era Abbascià, con i furgoni con l’ampia scritta sulle fiancate in giro dal Corvetto al Lorenteggio, alla Bovisa, ovunque ci fosse merce da consegnare.
Dino era anche giornalista. Scriveva di ulivi e pomodori, ma anche dei vicoli della sua terra, nel 1042 donata al conte di Trani da Roberto il Guiscardo, e delle case di ringhiera di Milano; della qualità delle ciliegie, di marketing, di progetti, di sogni.
E Massobrio lo ha ricordato dal palco di Golosaria: “Con lui, un anno, lanciammo l’idea del cavolo, ossia l’alleanza fra i piccoli commercianti di città e le cascine. L’idea di integrare le professionalità adottandosi a vicenda. Quando la proposi a Dino ne fu subito entusiasta e venne a Golosaria con tutta la sua famiglia… e i suoi prodotti fantastici”.
Quell’idea, ha chiarito il professor Lenoci nel suo intervento, non è ancora diventata operativa. È cosa buona e giusta tirarla fuori dal cassetto nell’anno di Expo, nell’anno della Carta di Milano, nell’anno dell’Enciclica Laudato si’, ma è cosa ancora più buona e più giusta realizzarla. Dino ne sarebbe contento, ancor di più del conferimento dell’Ambrogino d’oro, convinto com’era che “occorre fare strada insieme” e che “non si può rinunziare ai sogni”.