L’emergenza sanitaria da Covid-19 ormai caratterizza grande parte delle nostre giornate, con una prospettiva diversa a seconda delle esperienze che stiamo vivendo. Una di queste è sicuramente quella che stanno vivendo Ilaria Ricchitelli e Mauro Valente, coppia di trentenni biscegliesi in servizio al Policlinico San Matteo di Pavia, struttura in prima linea nella gestione dell’emergenza Coronavirus, raccontata alla Gazzetta del Mezzogiorno.

“La situazione che stiamo vivendo sembra davvero qualcosa di surreale e che, solo un mese fa, avremmo al massimo associato alla trama di un film”. Ilaria è infermiera nel reparto di Terapia Subintensiva – Sale Operatorie Cardiochirurgia; Mauro, invece, è medico in formazione specialistica nell’U.O. di Nefrologia, Dialisi e Trapianto, attualmente invece lavora nel reparto in cui si curano i pazienti in via di guarigione da Covid-19.

“Il 21 febbraio veniva individuato a Codogno il primo focolaio di Covid-19 e l’idea che fosse a poca distanza da Pavia ci ha fatto subito pensare che tale evento ci avrebbe raggiunti presto, in quanto ospedale di riferimento. Quel pomeriggio ricordo di aver lavorato senza troppi pensieri”, racconta Ilaria alla Gazzetta del Mezzogiorno. “Ancora non immaginavo che quello sarebbe stato il mio ultimo turno ‘ordinario’. Le sensazioni provate il giorno successivo durante il mio turno di 12 ore, prolungatosi poi fino a 16, sono state invece un misto di angoscia e ansia. Nei giorni successivi”, continua, “definiti i piani di emergenza, abbiamo iniziato a veder cambiare l’assetto dell’intero ospedale. La quarantena ha modificato completamente i nostri programmi. La rinuncia a tornare a casa ed a tenere lontano i nostri affetti più cari è stato il primo pensiero. Il mio trasferimento in un nuovo reparto di subintensiva, creato per l’emergenza, continua Ilaria, “ha procurato ansia e paura di non riuscire ad essere all’altezza della situazione, invece ho trovato un clima di solidarietà tra colleghi. Lavoriamo in equipe dietro ‘quell’armatura bianca’ e ci fidiamo l’uno dell’altro, lottando insieme e supportandoci psicologicamente. La paura non ci abbandona mai, forse perché abbiamo visto con i nostri occhi quello che purtroppo riesce a causare questo virus subdolo. La volontà di fare è spesso accompagnata dalla frustrazione, specie quando veniamo a conoscenza del contagio di un nostro collega. Neanche il ritorno a casa ci rasserena, c’è il timore di contagiare chi vive con noi. Anche se nel nostro caso vivere insieme”, confessano alla Gazzetta, “ed essere medico e infermiera ci dà possibilità di farci forza reciprocamente, ideando mille strategie per allontanare le angosce. Questa è la nostra vera fortuna. Tutti i giorni l’unica possibilità che abbiamo è resistere: dietro quelle maschere che ci segnano il volto e che spesso non ci lasciano respirare, davanti a turni estenuanti, mentre accompagniamo nella maniera più dignitosa possibile i pazienti che non riescono a farcela, mentre stringiamo la mano di chi ha bisogno solo di ritrovare il coraggio di non abbattersi. Ci chiamano eroi ma, quarantena a parte, stiamo semplicemente facendo ciò che ci compete e per cui ci siamo formati”.

E’ una situazione inusuale” racconta Mauro Valente, “e che mai avrei immaginato di vivere in prima persona, a maggior ragione a 900 chilometri da casa. Lavorando in ambito sanitario, in questo momento ho il vantaggio di non potermi fermare troppo a pensare alla lontananza e ai timori per la salute dei miei cari. Sono convinto che sarà un’esperienza importante per il nostro futuro sia a livello umano che formativo. Nel frattempo rinnovo l’invito a restare in casa e ad affrontare con massima cautela la situazione”.