“Ho seguito il corso di dialettologia romanza all’Università di Torino per la Facoltà di Scienze Linguistiche. Il professore ha invitato noi studenti a prendere parte a seminari di scrittura in dialetto e, di conseguenza, ho effettuato in autonomia un piccolo studio sulla materia con il volume di Vincenzo Pastore, le poesie di Riccardo Monterisi e i messaggi Whatsapp di alcuni dei miei amici. Dopodiché ho pensato di dedicare la mia tesi proprio al dialetto della mia città: Bisceglie”. Motiva così, in sintesi, la sua scelta il giovane linguista biscegliese Silvestro Di Pinto.
“Usi scrittori in un dialetto meridionale: il caso di Bisceglie”, questo il titolo del lavoro redatto e presentato da Silvestro Di Pinto. “Ho analizzato il dialetto biscegliese dal 1800 al 2018 dopo essermi concentrato su quello tranese per la tesi della triennale su indicazione di un docente, ma per la magistrale ho voluto dedicare il mio elaborato e le mie ricerche al mio dialetto anche perché, da quando sono piccolo, sono stato nutrito proprio di dialetto dai miei nonni”.
“Nel mio lavoro”, spiega Silvestro a Bisceglie24, “non manco di indirizzare qualche critica a maestri e cultori della materia come Mario Cosmai, Nicola Gallo, Demetrio Rigante che, è doveroso dirlo, stanno svolgendo un lavoro certosino, professionale e accorato sul recupero e la salvaguardia del dialetto, ma, a mio avviso, stanno allontanando i biscegliesi dalla loro lingua. Una lingua si può scrivere in tante maniere, ma l’utilizzo, già avviato dal professor Cosmai, degli accenti acuti e gravi mettono in difficoltà gli anziani e alienano i giovani che non si riconoscono in una lingua che non è più quella attuale“. “Il dialetto“, ci spiega meglio Silvestro, “è una lingua in continua evoluzione, che subisce cambiamenti, trasformazioni e che accoglie, piaccia o non piaccia, neologismi così come la lingua italiana. Io sono un fautore del dialetto scritto senza accenti ma così come si pronuncia oggigiorno”.
“Ci sono insegne commerciali in città che recano diciture dialettali assolutamente arcaiche e oggi incomprensibili. Ve n’è un’altra, invece, che non riporta né accenti né la vocale finale (che in effetti non si pronuncia nel dialetto parlato). L’unico, in questo campo, a tener fede all’attualità del dialetto e alla sua comprensione agevole è Pino Tatoli, sceneggiatore della Compagnia Dialettale Biscegliese che non si pone il problema di presentare una lingua purista, originale, che ormai appartiene ai nostri bisnonni, ma quello di far comprendere i suoi testi a interpreti della Compagnia e al pubblico che assiste alle loro commedie. Questa, a mio avviso, è la direzione da seguire“.
“Ho voluto proprio utilizzare come situazione esemplare quella della Compagnia Dialettale per far capire quanto sia moderno e sottoposto a mutazioni il dialetto. Il suo uso non va stigmatizzato, anzi, il dialetto dovrebbe essere la seconda lingua di ciascuno di noi e occorre, in tal senso, promuovere iniziative. Ma si ponga attenzione all’uso moderno, senza preoccupazioni di tipo purista e arcaico. Grazie a Luca De Ceglia che mi ha supportato in questo lavoro, a Pino Tatoli che ha ricevuto e letto la mia tesi e a Franco Di Bitetto e a tutta la Compagnia per le congratulazioni rivoltemi“.
In conclusione ci parla di un suo sogno nel cassetto: “Esistono già due vocabolari dialetto-italiano. Il mio sogno è quello, un domani, con l’aiuto di tutti coloro che ho menzionato in questa intervista e quanti vogliano darmi una mano, realizzare un vocabolario dall’italiano al biscegliese. Pensate quali sorprese troverebbero i giovanissimi nello scoprire come si dice ‘farmacista’ o ‘macellaio’!”.