Una situazione insostenibile. Turni massacranti, carenze di organico, un contratto in convenzione che fa acqua da tutte le parti, turn over praticamente assente e, come se non bastasse, le lamentele (anche vibranti) delle persone assistite. È quanto denuncia una dottoressa del 118, che dal 2002, anno in cui il numero unico dell’urgenza e dell’emergenza sanitaria è entrato in vigore, ogni giorno è in prima linea per soccorrere persone e salvare vite umane.

Il forte malcontento, associato allo scoramento, deriva da situazioni simili a quella verificatasi gli ultimissimi giorni del 2017. “Ogni postazione del 118 dovrebbe avere 5 medici, ma in quei giorni la postazione di Trani, realmente, ne aveva solo due (a causa di malattie e gravidanze). Ne è conseguito che la loro ambulanza non fosse medicalizzata e, di conseguenza, la postazione di Bisceglie fosse chiamata a coprire, oltre al territorio cittadino, anche quello di Trani. Nel periodo coinciso con il picco dell’influenza e con un numero di chiamate al 118 decisamente superiore alla media. Pur avendo anche noi un medico in malattia,  a causa di una frattura, siamo riusciti a coprire, ma sobbarcandoci turni molto pesanti. Io per esempio il 30 dicembre avevo febbre alta e, dopo una flebo, ho fatto il turno di notte, con diversi interventi”. Una situazione inconcepibile se si considera che medici che ricoprono ruoli così delicati, come la gestione dell’emergenza urgenza, debbano sempre essere lucidi e al massimo della forma psico-fisica per assolvere al meglio al loro compito.

“Avrei dovuto ricorrere alla ‘malattia’ ma non potevo”, spiega la dottoressa, “Innanzitutto perché avrei lasciato i colleghi in enorme difficoltà ma anche perché la ‘malattia’ non viene riconosciuta, se non secondariamente ad una copertura assicurativa. Motivo per cui la Asl, a fine mese, decurta le giornate in cui si è stati assenti e poi per recuperare i soldi bisogna fare domanda di fruizione della copertura assicurativa, ricevendo quanto ci spetta con molto ritardo”.

Nella stessa serata in cui la incontriamo, la dottoressa ha dovuto coprire un turno dalle 8 alle 20, mentre un turno normale dovrebbe essere di sei ore al giorno, per un totale di 38 ore settimanali. E oltre all’enorme stress lavorativo, bisogna fare i conti con le lacune generali del sistema 118 e, spesso, anche l’uso errato da parte dell’utenza. “Oggi”, racconta la dottoressa, “abbiamo fatto fronte ad un codice rosso a Molfetta, trasportando il paziente a Bari. Per tre ore abbiamo lasciato sguarnita Bisceglie, che in caso di emergenze deve essere coperta da altre postazioni del territorio. Poi abbiamo effettuato un intervento a Ruvo che in realtà poteva essere gestito tranquillamente con il medico di base o la guardia medica. E poi un altro codice rosso a Bisceglie, con trasporto del paziente a Barletta”.

Da un lato, quindi, bisognerebbe evitare di chiamare il 118 per situazioni che non sono di emergenza-urgenza (come per esempio la febbre o l’influenza). “Eppure ci troviamo molto spesso dinanzi a queste situazioni”, dice la dottoressa. Ed è altrettanto chiaro che per reggersi, un sistema del genere, in cui si è spesso chiamati ad intervenire nei paesi limitrofi (non solo per la postazione di Bisceglie ma per tutte), dovrebbe poter contare su personale sempre al completo, adeguatamente supportato e messo nelle condizioni di operare al meglio.

Questo, stando alla denuncia pubblica della dottoressa, non accade. E oltre al danno c’è la beffa. “In tantissime occasioni appena arriviamo sul posto siamo accusati di arrivare tardi, con lamentele vibranti”. Proteste che, in alcuni casi, come raccontano le cronache regionali e nazionali, culminano in aggressioni.

Al durissimo stress lavorativo, si somma una condizione contrattuale inadeguata. Oltre alla “malattia”, legata alla copertura assicurativa, spiega la dottoressa, “essendo in regime di convenzione, percepiamo lo stipendio in ritardo e non ci spetta la tredicesima, né ci viene riconosciuta la legge 104 (norma per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone diversamente abili, ndr). La nostra professione, altamente usurante ed a rischio di infortuni, non è tutelata. Ecco perché in tanti vogliono letteralmente scappare dal 118. E lo fanno. Negli anni ho visto molti colleghi lasciare. E le graduatorie vanno nulle perché nessuno accetta questo contratto”. Bisognerebbe quindi interrogarsi su come il sistema di 118 possa reggersi nel tempo, con il progressivo invecchiamento dei medici in servizio e un turn over praticamente assente o quasi.

“Dal 2002”, racconta la dottoressa, “ho nutrito sempre la speranza che qualcosa potesse cambiare. E chi ha accettato il contratto lo ha fatto, come me, auspicando che le condizioni potessero migliorare. Ma questo non è mai avvenuto. Un mese e mezzo fa abbiamo anche raccolto le firme di 200 colleghi in tutta la Puglia e abbiamo scritto al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Ma il governatore non ci ha mai risposto”, conclude la dottoressa, stanca e sfiduciata dopo anni sulla breccia al servizio della collettività. Anche lei sta valutando di lasciare il 118 e presto potrebbe farlo.