Venti condanne a pene variabili tra i 3 e i 15 anni di reclusione sono state inflitte, con il rito abbreviato, dal gup del Tribunale di Bari, Francesco Agnino, ad alcuni esponenti di un “cartello” della droga che per alcuni anni ha operato tra Bisceglie (centro operativo della banda), Trani, Corato e Terlizzi (leggi qui). Il gruppo venne sgominato nel marzo 2016 da un’ampia operazione dei Carabinieri di Bisceglie, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari e ribattezzata “Gran Bazar”. Per 4 degli imputati che hanno scelto il processo con rito abbreviato è intervenuta l’assoluzione; mentre altri sette hanno scelto il rito ordinario.
Sono stati condannati i personaggi di spicco del gruppo, che rispondono di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Sono il biscegliese Domenico Amoruso, noto come “Mimmo il biondo” (condannato a 14 anni e 4 mesi di reclusione); il coratino Michele Migliaccio, detto “il napoletano” (15 anni e 2 mesi); i terlizzesi Gioacchino (detto “u kiù”) e Vincenzo Baldassare (entrambi 6 anni e 10 mesi); il biscegliese Vincenzo Di Liddo, noto come “u Buc” (6 anni e 8 mesi), e il tranese Luigi Colangelo (4 anni e 6 mesi), oggi collaboratore di giustizia.
Condanne anche per le donne del gruppo, a cominciare dalla madre e dalla sorella di Migliaccio (Assunta Larmino e Maria Luisa Migliaccio, entrambe a 7 anni e 2 mesi). Tra le condanne, anche quelle di altri biscegliesi: Emanuele Di Liddo, Vincenzo Sasso e Vincenzo Ventura (6 anni e 10 mesi), Luigi Amarante (6 anni e 8 mesi), Anna Zingarelli e Antonio Salerno (4 anni e 2 mesi), Vincenza Ferrante e Leonardo Todisco (2 anni e 8 mesi).
Nel corso dell’operazione di un anno fa, finirono in carcere 13 persone e vennero sequestrati oltre 250 dosi di cocaina, quasi mille dosi di hashish, alcuni chili di marijuana e diverse dosi di eroina, nonché una pistola, 50 cartucce e denaro in contanti. Le indagini erano state condotte dai Carabinieri di Bisceglie dal luglio 2014 al giugno 2015. L’organizzazione, secondo quanto emerso, era ramificata in ciascun comune attraverso una rete di pusher assoldati per rifornire con continuità le piazze di spaccio di cocaina, hashish, marijuana ed eroina. La pericolosità dell’associazione risultò ancor più marcata per l’accertata disponibilità di armi e munizioni, nonché per la diversificata natura degli interessi nutriti.