Ci sono anche quattro biscegliesi tra i centoquattro arrestati dell’operazione “Pandora” condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari e dei Carabinieri del Ros, all’alba di ieri lunedì 18 giugno, e che ha avuto al centro delle indagini i vertici dei clan Mercante-Diomede e Capriati.
I quattro biscegliesi che hanno subito il provvedimento di ordinanza di custodia cautelare sono: Domenico Amoruso detto “mimmo u biond” e nato nel 1949, considerato dagli inquirenti come una delle figure di spicco del clan Capriati nel nord barese. Vincenzo Di Liddo detto “u buc” del 1965, Giovanni Battista Lanotte detto “armi e droga” nato nel 1974 e Vincenzo Leuci detto “papè” del 1976.
Le principali accuse rivolte ai centoquattro arrestati sono quelle di associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, rapina, sequestro di persona, detenzione di armi, lesioni personali con aggravante mafiosa, violazione della misura della sorveglianza speciale. L’inchiesta condotta ha evidenziato il crescente ruolo dei due clan, federati fra loro, nel panorama criminale pugliese. Secondo quanto accertato dagli inquirenti entrambi avevano metodologie di tipo mafioso e una oggettiva forza intimidatrice sprigionata dal sodalizio sul territorio, dall’imposizione di rigide regole interne, dal ricorso ai rituali di affiliazione promossi, diretti ed organizzati dai componenti.
Presente all’interno dei clan la distinzione fra “padrini” e “figliocci”, questi ultimi tenuti ad eseguire gli ordini e le disposizioni dei primi. I rituali di iniziazione erano distinti in: “battesimo”, con cui veniva conferita la “personalità mafiosa” necessaria per agire nell’ambito del consorzio con pienezza di diritti e doveri e “movimento” con il quale all’affiliato viene conferita la “dote” ovvero promosso ai vari gradi superiori, eseguito spesso anche alla presenza di soggetti di sodalizi alleati, funzionali a stabilire un posizionamento nell’organigramma del clan. Sia il battesimo che il movimento erano celebrati da un organismo, denominato “capriata”, costituito da soggetti già camorristicamente “attivati”.
Le indagini hanno permesso di accertare il ruolo verticistico nel clan Capriati di Antonio Capriati e dei nipoti Domenico e Filippo, nonostante il loro stato detentivo (non destinatari del provvedimento cautelare di questi giorni). Il clan era ramificato nel quartiere “San Nicola-Bari vecchia” (storica roccaforte del sodalizio) e “San Girolamo” di Bari; nei comuni baresi di Bitonto, Triggiano, Valenzano; nel comprensorio del nord barese (Terlizzi, Ruvo di Puglia, Corato, Bisceglie e Trani) i cui responsabili sono stati identificati proprio nel biscegliese Domenico Amoruso, Gioacchino Baldassarre e Domenico Conte.
Per quanto riguarda il clan “Mercante-Diomede” l’indagine ha consentito di attribuire senza alcun dubbio il ruolo di capo e organizzatore del sodalizio all’indagato Giuseppe Mercante e al suo alter ego Nicola Diomede. Secondo quanto emerso dalle indagini il clan operava a a Bari, nei quartieri “Libertà” e “Carrassi-San Pasquale”, e nei comuni baresi di Bitonto, Triggiano, Adelfia, Altamura e Gravina in Puglia. Le forze dell’ordine hanno inoltre potuto documentare le convergenze e i rapporti con i clan “Parisi” e “Di Cosola”, oltre a riscontrare la permanenza della storica e ciclica conflittualità con il clan “Strisciuglio”. Le attività illecite del clan erano usura, ricettazione ed altri reati contro il patrimonio, con particolare riferimento ai furti in abitazioni; l’imposizione/installazione delle slot-machine negli esercizi pubblici; il possesso di armi e lo spaccio di stupefacenti. Al clan “Mercante–Diomede” apparteneva anche Roberto De Blasio, imprenditore nel settore della sicurezza privata, attuale membro del consiglio direttivo della Fai, associazione regionale antiracket, quale vicepresidente. E’ indagato per associazione di tipo mafioso.
In ultimo dalle indagini sono emersi legami tra i due clan baresi con la criminalità organizzata di altre aree della Puglia, in particolare con la società foggiana (il boss Mercante Giuseppe è stato affiliato dal noto capomafia foggiano Rizzi Giosuè, detto “il papa”, ucciso nel 2011 a Foggia, con il quale il Mercante ha mantenuto rapporti fino alla sua morte) e la sacra corona unita di Lecce (con riferimento alla documentata partecipazione di esponenti della SCU nei riti camorristici celebrati in carcere a favore degli odierni indagati).
Il clan “Capriati”, sfruttando periodi di convivenza carceraria, è riuscito a fidelizzare esponenti della criminalità di San Severo, destinatari del provvedimento restrittivo, amplificando le sue potenzialità attraverso il reclutamento di soggetti capaci, all’occorrenza, di operare sul territorio barese con effetto sorpresa, in cambio di droga ed armi.