E’ andato in scena ieri sera, mercoledì 16 dicembre, presso il circolo ARCI Open Source di Bisceglie, il nuovo spettacolo del mediatore culturale e artista senegalese Mohamed Ba, da poco reduce da una serie di entusiasmanti successi nelle scuole cittadine. Invisibili, questo il nome del suo ultimo lavoro, riprende i tempi e lo stile della sua precedente rappresentazione, Il riscatto, andata in scena presso il circolo cittadino la scorsa estate, arricchendola di rinnovati spunti di riflessione. Protagonista sulla scena, assieme all’attore, anche la musica popolare africana, quella del bongo e dei canti di speranza. Non semplici intermezzi, bensì vere e proprie preghiere, struggenti e suggestive.

Ba presenta questa seconda volta uno spettacolo di più ampio respiro, con una parte iniziale dedicata al racconto di una vicenda spesso ingiustamente trascurata nella più ampia storia del secondo conflitto mondiale. Il racconto di quei contingenti composti dai tanti tirailleurs senegalesi arruolati tra le file dell’esercito coloniale francese. Purtroppo spesso lo si dimentica, ma anche quel popolo, mosso dalla irrefrenabile speranza di cambiamento e conquista della libertà, dalla promessa (poi mai mantenuta) dello “stesso sangue versato, stessi diritti acquisiti”, ha contribuito a liberare la nostra terra dalla minaccia nazista. La storia si sposta successivamente sul versante semi autobiografico e diventa quella di un ragazzino che, spinto dalla volontà di conoscere e imparare, affronta ogni mattina i dodici chilometri di cammino, sotto il sole cocente, per arrivare in quella sua scuola fatiscente, fatta di lamiere di metallo disperse nel deserto. Poi ancora la partenza, la “nuova vita” parigina, il dramma della clandestinità e lo struggente racconto di un amore a distanza che non può aspettare le rigide leggi della burocrazia. Un appassionante “viaggio di formazione” nella consapevolezza che “prima di essere un cappello, è necessario imparare a essere delle semplici scarpe”.

La seconda metà dello spettacolo riprende invece i toni scanzonati e ironici già apprezzati con il precedente Il riscatto, con cui Ba dipinge le nevrosi, i pregiudizi e i peculiari difetti della nostra penisola e della gente che la abita. Arrivato a Milano con la paura di essere circondato da potenziali mafiosi e terroristi, di diventare ben presto anche lui vittima di quei terribili “anni di piombo”, il giovane senegalese si ritrova circondato da persone che, paradossalmente, vedono proprio nella sua pelle scura il “pericolo” e il “diverso”.

Le luci si spengono e un monologo finale squarcia qualsiasi tipo di ironia, ricordandoci quanto sia di estrema e pressante attualità la tragedia delle morti per mare, dei tanti migranti che, scappando da un passato di fame e disperazione, cercano al di là delle onde una nuova speranza. E allora il cerchio si chiude: ricordare il passato conflitto bellico, la minaccia hitleriana, per riflettere su quelli che sono “gli ebrei dei nostri giorni”, viandanti osteggiati dalle stesse forze naturali. Le acque non si aprono biblicamente, bensì si agitano e rivoltano per impedire il loro passaggio. Il messaggio alla fine è ancora una volta lo stesso: un sentito invito a reagire, a svegliarci da quella “rassegnazione disperata” che ci affossa. Un invito a difendere la libertà di persone così geograficamente lontane, ma allo stesso tempo così umanamente vicine. Nella consapevolezza che, come avrebbe detto Giorgio Gaber, “libertà è partecipazione”.