L’eleganza e la pacatezza di Marino Bartoletti hanno aperto la seconda serata della decima edizione di Libri nel Borgo Antico. Il noto giornalista sportivo ha presentato al pubblico biscegliese, nel magnifico scenario di piazza Castello, il suo primo romanzo “La squadra dei sogni. Il cuore sul prato”.

Una riflessione sulla bellezza di Bisceglie e del luogo nel quale si svolgeva l’incontro ha aperto l’intervento dell’autore, moderato dal direttore di Teleregione Salvatore Petrarolo. “Ho scritto questo libro perché da nonno ho avvertito l’esigenza di raccontare l’etica sportiva ai più giovani”, ha confessato Bartoletti. “Quando ho iniziato a scrivere ho scoperto che il mio cuore dava spunti interessanti al cervello. Il risultato è un libro che leggerei volentieri perché insegna tanto agli adulti, raccontando quei sentimenti di amicizia e integrazione che mancano agli adulti di oggi.”

La storia tratta di due ragazzi di estrazione sociale completamente diversa, uno figlio di una famiglia dell’alta borghesia, l’altro figlio di immigrati, cresciuti sviluppando un’amicizia profonda, eppure costretti a separarsi all’inizio della scuola media. La forzata separazione porterà i protagonisti a frequentare due istituti rivali finché non saranno costretti ad affrontarsi in una partita di calcio, sportivamente drammatica.

Nel corso della presentazione sono state molteplici le questioni discusse, a partire dal ruolo della donna nello sport cui l’autore guarda con favore, fino ad arrivare a quello dell’integrazione, particolarmente sentito dal giornalista che a tal proposito ha affermato: “Integrazione non è una parolaccia, ma un qualcosa che devono tenere presente anche gli anziani, un qualcosa che va coltivato. Se si facesse rotolare una palla in mezzo ad una classe di bambini, lasciati liberi dai pregiudizi di noi adulti, quello sarebbe uno strumento di unità. Il sogno di un’Italia colorata è perseguibile purché gli adulti lascino crescere i bambini senza il pregiudizio. Lo sport maneggiato con cura è maestro di vita e d’integrazione.

Uscendo dalle tematiche più strettamente legate al romanzo Bartoletti ha piacevolmente risposto alle varie domande sui temi sportivi lasciando trapelare la propria fede interista, ricordando la leggenda del Grande Torino e le sue prime domeniche allo stadio a vedere il Forlì, “la squadra della mia città nella quale il mediano destro era Sandro Ciotti”.

Proprio lo sport, secondo l’autore, è stato il motore in grado di far ripartire l’Italia dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale. “La speranza che lo sport ha saputo instillare nel secondo dopoguerra è stata decisiva. Penso a Coppi, Bartali, il Grande Torino, alle Olimpiadi di Roma”. La bicicletta è la metafora che usa Bartoletti per descrivere l’Italia degli anni ’50: “Questo Paese pedalando è tornato a vincere, appena finita la guerra in Italia c’erano sei milioni di bici. Questa è un oggetto democratico, occorre qualcuno in grado di saperla guidare e ciò vale in tutti gli ambiti compresa la politica.”

Un ricordo toccante di Felice Gimondi “una delle persone che mi ha arricchito di più in assoluto, un grande campione che ha avuto la sfortuna di trovare sulla propria strada qualcuno più grande di lui come Merckx” e una riflessione su Gino Bartali, ad avviso dell’autore giustamente inserito nelle tracce dell’esame di maturità perché “vero eroe, un uomo che andava da Firenze ad Assisi tre volte alla settimana per salvare vite umane senza mai averlo detto a nessuno. Perché il bene si fa, non si racconta” hanno preceduto l’ultima parte dell’intervento. In conclusione il giornalista, sulle differenze tra lo sport di ieri e quello di oggi, ha fatto notare come “lo sport di oggi non si preoccupi tanto della salute degli atleti quanto di realizzare il maggior profitto possibile” portando come esempio il prossimo mondiale di calcio che si svolgerà in Qatar nel 2022. Sul confronto, invece, tra il calcio attuale e quello della sua infanzia Bartoletti ha risposto così: “Non è facile raccontare il calcio di oggi, ma bisogna adeguarsi. Ho inventato Quelli che il calcio perché appartenevo a quella generazione che non ascoltava bensì vedeva le partite alla radio con le voci di Carosio e Martellini. Quelle partite erano le più belle perché le vedevo solo io.”