Ieri sera, giovedì 18 agosto, nella splendida cornice del Castello Svevo di Bisceglie, il geologo e noto volto televisivo Mario Tozzi ha aperto la rassegna di documentari “Ignoti alla città” promossa dalla cooperativa Camera a Sud, che continuerà anche nelle giornate di oggi e di domani (qui i dettagli). Lo scienziato italiano ha presentato al pubblico (nell’ambito della rassegna Libridamare, organizzata dal Presidio del Libro) la sua nuova opera “TecnoBarocco”, incentrata sugli aspetti negativi della tecnologia del terzo millennio, con lo scopo di sfatare il mito che ciò che è nuovo e moderno sia anche necessariamente utile e proficuo. Tecnologia “barocca” anche nel senso di “tecnologia ridondante, che non arricchisce chi la utilizza ma solo chi la produce e la finanzia economicamente”.
Ha aperto la serata un vecchio documentario di dieci minuti diretto da Vittorio De Seta, incentrato sul tradizionale rituale della cattura del pesce spada e su di un tipo di pesca, fatta di attese estenuanti e tempi dilatati, che probabilmente non tornerà mai più. “Il settore della pesca ci mostra come la tecnologia non porta sempre un vantaggio”, ha spiegato Tozzi, “bensì un raschiamento della catena alimentare”. “Attraverso mezzi moderni come gli ecoscandagli siamo diventati dei predatori a cui è assicurato il successo di ogni caccia. Nessun sistema naturale può reggere con un competitore che vince sempre”. La pesca basata sulle innovative attrezzature tecnologiche, sempre secondo Tozzi, è inoltre uno “strumento di disparità sociale”, in quanto “alcuni Paesi non potranno mai avere la stessa scelta alimentare e la stessa varietà di pescato di quelli più sviluppati”. Ma la tecnologia ha avuto un impatto preponderante anche sul nostro modo di intendere e pensare determinati aspetti della nostra vita, come lo sport. La recente competizione olimpica ci mostra infatti un altro ambito in cui “la tecnologia può essere perniciosa”. “Il cambiamento rispetto alle competizioni classiche è spaventoso. E se prima il racconto della prestazione era tutto il gesto sportivo, senza record o misurazioni di alcun tipo, ora conta solo la valutazione matematica o cronometrica della stessa”, ha proseguito Tozzi. Nonostante in alcune discipline le innovazioni abbiano portato al miglioramento delle prestazioni e della sicurezza (come nel caso dei moderni slittini), si è perso il gusto di valutare la “purezza del momento atletico”. “Persino la boxe con i guantoni, sul lungo periodo, si è dimostrata essere più pericolosa e dannosa della lotta a mani nude”, ha affermato il geologo, “in quanto il cosiddetto gancio da sotto può provocare un danno cronico causato dallo scollamento di pacchetti di cellule cerebrali”.
Un altro tema di cui si è discusso a lungo è stato inoltre quello della “aleatorietà del digitale e, di conseguenza, delle nostre memorie più care”. “Quante volte è capitato di cercare delle fotografie scattate con il proprio cellulare e di non ricordare più dove fossero state archiviate ?”. La possibilità di conservare quantità enormi di fotografie su chiavette USB o addirittura su server cloud non permette più di apprezzare le peculiarità e la unicità del singolo scatto, rendendo sempre più difficile la reperibilità delle foto sul lungo periodo (dopo che magari si sono cambiati diversi computer o cellulari). Ma tutto ciò che ha a che fare con il progresso tecnologico ha necessariamente un collegamento diretto con il capitalismo e con la società economico-centrica in cui viviamo. La stessa nascita dei fast-food è un fenomeno, iniziato negli anni ’50, strettamente legato alla filiera della carne e a quella “omologazione” sul piano alimentare che stava prendendo piede sul territorio americano. “Per noi è impossibile pensare a questo tipo di omogeneità culturale”, ha spiegato Tozzi, “dato che siamo abituati a ricette e specialità culinarie diverse già passando da una città a quella vicina”. In America, invece, “si è cercato di superare le tante divisioni uniformando il cibo sotto un unico standard”. “Un hamburger è lo stesso da nord a sud, la nostra mozzarella no”.
La tecnologia, quindi, sia nella nostra quotidianità che nei settori della macroeconomia, ha radicalmente cambiato il nostro modo di pensare e vivere le cose, specialmente a causa del forte impatto del web. La pigrizia ha preso il sopravvento, e non si è più capaci di verificare la veridicità di una notizia letta, in quanto un articolo “più è condiviso, più sarà attendibile”, indipendentemente dalla qualità della fonte. Lo stesso metodo di ricerca delle informazioni su internet è radicalmente diverso da quello che si utilizzava tempo fa consultando una enciclopedia. Non vi è più quel “dignitoso itinerario culturale” fra le voci correlate al tema che si desiderava approfondire, ma inglobiamo invece informazioni che siamo destinati a dimenticare velocemente. “La tecnologia e il suo continuo avanzamento ci spingono a pensare che il nostro cellulare sia già vecchio dopo qualche mese, quando paradossalmente la qualità della trasmissione telefonica è rimasta immutata dai tempi di Meucci”, ha spiegato Tozzi. “Inoltre, non capirò mai questa mania di condividere le foto dei piatti che ci si accinge a mangiare. A me non importa quello che stai mangiando. Rifai la ricetta a casa e invitami, piuttosto. Ma soprattuto non ho nessuna voglia di rivedere le foto dei miei compagni delle medie, che avevo cercato in tutti i modi di dimenticare”, ha ironizzato lo scrittore. Il termine “piazza virtuale” è sbagliato in partenza. “Una piazza senza odori, senza tridimensionalità, non è una piazza. La possibilità di parlare, di sfiorarsi, è ciò che rende ogni momento degno di essere vissuto e condiviso con gli altri”. Perché “condividere” è una delle cose più preziose che si possa fare nella propria vita, e non stiamo parlando solo di selfie.