“Fare insieme, costruire qualcosa insieme, è il modo migliore per creare la parità, a prescindere dal colore, dalla lingua e dal sesso”. È con questa frase che Marina Leuzzi, ingegnere e attivista tranese, ha presentato al pubblico del Laboratorio Urbano di Palazzo Tupputi il nuovo progetto Spazio13, che ha permesso la riapertura nel quartiere Libertà di Bari di una porzione della scuola media Melo, abbandonata da anni, per trasformare quegli spazi in un presidio sociale e comune.

Quello della Leuzzi è stato uno degli interventi che hanno animato il momento di confronto organizzato in occasione della inaugurazione della mostra “A Polaroid for A Refugee”, curata dalla fotogiornalista Giovanna Del Sarto, che dal 2015 ha scattato circa 1.200 polaroid per raccontare la storia dei rifugiati in Serbia, Grecia e Turchia. Ma gli organizzatori della manifestazione, i ragazzi della Associazione di Promozione Sociale Mosquito, hanno cercato di trasformare la presentazione del progetto artistico della reporter in un momento di incontro e condivisione sul fenomeno migratorio, con lo scopo di creare una rete di cittadinanza attiva e solidale sul territorio. 

Tra le testimonianze di integrazione ed inclusione nella nostra città, quella della “sQuola” Garibaldi: una realtà che è stata resa possibile grazie allo sforzo tenace dei volontari (ancora troppo pochi) che hanno deciso di dedicare parte del loro tempo all’insegnamento della lingua italiana, e non solo, ai migranti attualmente ospitati a Bisceglie. Dalla “sQuola” Garibaldi, fieramente con la “q”, come spiegano gli organizzatori, sono transitati circa una cinquantina di stranieri e trentasette docenti, a formare un gruppo di volontari che comprende professori ma anche giovani studenti e cittadini sensibili al problema. Tra le “maestre” della scuola persino una ragazza ucraina ed una signora russa, che viaggiano regolarmente da una città limitrofa per partecipare attivamente al progetto ed aiutare gli alunni attraverso la loro esperienza acquisita della lingua italiana. “Nella normale alternanza dei frequentanti”, ha spiegato Mauro De Cillis, “stiamo riuscendo a mantenere una media di venticinque alunni che settimanalmente frequentano la scuola assiduamente”. 

Parole dure sono state invece quelle del direttore artistico del teatro comunale, Carlo Bruni, promotore e curatore proprio della scuola di italiano per stranieri, che ha palesato la propria insofferenza verso una pericolosa tendenza a “parlare troppo e fare poco”. “Il rischio è quello di prendere gusto nel parlare della vostra tragedia”, ha dichiarato Bruni rivolgendosi ai migranti presenti in sala. “Uno straniero può arrivare nel nostro Paese e rimanere tre anni senza imparare la lingua e senza trovare lavoro. Nella nostra scuola ci sono persone che stanno per terminare il loro periodo protetto e sono disperati. Il rischio è quello di finire per strada, o peggio nella malavita. Possiamo dire che facciamo delle belle manifestazioni, ma questa città è assente. Voi (migranti, ndr) dovete smettere di guardare il disastro che avete vissuto, e noi vi dobbiamo aiutare a metterlo da parte. Noi ci commuoviamo troppo facilmente, ma facciamo poco. Questa città è piena di muri”. 

Ma la serata è stata anche occasione per ascoltare testimonianze di chi la crisi umanitaria la vive ogni giorno nella sua drammaticità, come la sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini, recentemente insignita del Premio Unesco per la Pace. In una situazione sempre più critica (nei primi quattro mesi del 2017 si conta la perdita di 1089 vite nel Mediterraneo centrale) è importante pensare al futuro delle centinaia di persone che scappano da guerra e miseria con la speranza di una esistenza migliore, e che sistematicamente sbarcano sulle nostre coste. Impegnarci quotidianamente affinché la solidarietà non sia solo una parola di cui riempirsi la bocca, ma un impegno concreto a prendere a cuore le sorti di questi migranti nello stesso modo in cui la fotografa Giovanna Del Sarto ha preso a cuore quelle dei suoi soggetti. Dietro ogni storia, la volontà di ritrovarsi. Dietro ogni polaroid, una scritta. «Qualunque sia la tua destinazione, fammi sapere se sei al sicuro».