Standing ovation per Sergio Rubini che ieri, in un teatro Mediterraneo gremito, ha portato in scena “La guerra dei cafoni”, recital ispirato all’omonimo romanzo di Carlo De Amicis. Il celebre attore e regista originario di Grumo Appula, accompagnato dalle note al piano del creativo e talentuoso compaesano Michele Fazio, racconta in prima persona le gesta di Angelo, giovane quattordicenne, capo dei “signori”, in prima linea nella lotta di classe tra benestanti e cafoni.
Il tema centrale è proprio la lotta di classe, in versione ironica e sarcastica, che sfocia nella singolar tenzone a flipper e nello scontro fisico, in un testo in cui non mancano gli intercalari tipici della nostra terra e qualche colorita espressione dialettale che aggiunge verve e comicità all’opera, ambientata in un villaggio della costa salentina nel 1975.
Angelo, il baluardo dei signori, tra la sua casta noto come Francisco Marinho (giocatore brasiliano della nazionale di calcio brasiliana del 1974, tra le meno competitive della storia) e soprannominato “Maligno” dagli zotici, è ossessionato dalla necessità di mantenere una netta separazione tra i benestanti e i “villici, zotici, cafoni”. Mentre è al cinema con la fidanzata Sabrina “Scopainculo”, voce da sirena (ma della polizia), Marinho viene avvisato che i cafoni hanno attaccato al vicino villaggio di Torrematta. Egli si sente investito da una grande responsabilità, come un eroe chiamato a salvare la sua gente. Un eroe però incompreso dalla sua compagna e schernito dagli spettatori del cinema, decisamente più interessati al film che alle sue beghe. Angelo lascia la sua fidanzata al cinema e accorre a Torrematta, perché “un cafone è un cafone. Un attacco è un attacco. E la combinazione è rovinosa”. L’attacco dei cafoni altro non è che “nu forestier” che dalla mattina gioca al flipper del bar Pedro, cui Marinho è molto legato. Ed è qui che si consuma una singolar tenzone descritta con il lessico epico degno di un poema cavalleresco, rivisitato in chiave ironica. Il paladino dei signori sfida il cafone che si è impossessato del suo flipper, capelli lunghi, grosso, tatuaggi, alito da fogna, seppur con qualche rudimentale conoscenza del mondo civilizzato, “razza di cafonide che stranamente pratica nobile arte del flippare”. La sfida è vinta da Marinho, ma solo perché, ad un passo dalla vittoria del cafone, va via la corrente al flipper. La purezza e la supremazia del lignaggio sarebbero salve, tra lo scherno di Angelo e le bestemmie dello zotico, ma l’onta è dietro l’angolo, perché il padrone del bar Pedro vende a due cafoni il flipper cui Marinho è tanto legato. Riecco che si accende lo scontro, questa volta fisico che sta per culminare con un epilogo tragico ma lascia il posto ad un finale rocambolesco e tragicomico.
Il ritmo è incalzante. La voce di Rubini e il piano di Fazio si sposano perfettamente in un mix impeccabile. Finisce, dopo settanta minuti, con i convinti applausi del folto pubblico e Rubini che ringrazia il sindaco Francesco Spina, l’amministrazione comunale e gli spettatori, felice di essersi esibito “in un posto bellissimo come questo”. Ma prima di uscire di scena c’è tempo per una sorpresa, la lettura di una divertente poesia di Giacomo D’Angelo in dialetto grumese, un’esilarante raffica di soprannomi tipici della città in cui il noto attore e regista è nato ed ha trascorso l’adolescenza (VEDI VIDEO SOPRA). Una dimostrazione d’amore per le sue origini di Rubini, notoriamente legato alla sua terra, come dimostrano anche i suoi film. L’incasso della serata è stato devoluto in beneficenza all’associazione “I Care” onlus.
Foto: Cristina Soldano