In una casa rotante di circa cinque metri di ampiezza, curata nei più piccoli dettagli, dall’illuminazione interna alle singole stanze fino ai passaggi (invisibili allo spettatore) attraverso i quali le diverse marionette si muovono per passare da un ambiente all’altro, si è svolto il “terrorizzante” spettacolo per “spiriti e pupazzi” della compagnia danese Sofie Krog, ospite delle Vecchie Segherie Mastrototaro nell’ambito della stagione teatrale di SistemaGaribaldi. Come spesso avviene nelle opere che hanno come protagonisti dei pupazzi e non degli attori in carne e ossa (al cinema, come a teatro), anche in The House il movimento dei personaggi è tanto importante quanto il loro stare fermi. È attraverso questo meccanismo di stasi e successiva azione che si suscita la risata e si rivelano le dinamiche della scena (che diviene quindi comprensibile anche da chi non conosce l’inglese, lingua in cui parlano, anche se in maniera volutamente imprecisa, i personaggi).
L’umorismo di Sofie Krog e David Faraco sembra quello dei cartoni animati in stop-motion della Aardman (i due ladri, per il loro aspetto, sembrano provenire proprio da uno dei film dei creatori di Wallace & Gromit), per cui ogni gag diverte non tanto per la trovata comica in sé, ma per come questa viene messa in scena con una inedita consapevolezza delle prospettive e degli ambienti. I personaggi si muovono in maniera buffa come in uno sketch dei Monty Python (il Ministero delle camminate strambe approverebbe il modo di camminare di ciascuno di loro) che si svolge però in un set “argentiano”, con i colori accesi e stilizzati come quelli di Luciano Tovoli (il respiro sofferente della “zia” sembra campionato dal Suspiria del 1977). Le maggiori risate accompagnano i momenti più macabri, come in un film dei fratelli Coen. Gli eventi non sono mai comici se presi singolarmente, ma fanno ridere per la loro precisa collocazione nella narrazione. Le cose che accadono ai personaggi in scena sono quasi sempre dolorose o tragiche, ma sembrano ridicole perché avvengono con un tempismo che le rende tali.
Non è quindi quello che succede a divertire, ma i suoni e le trovate visive che animano ogni singolo momento della storia: i rumori onomatopeici prodotti dagli stessi personaggi per marcare il significato delle loro azioni, lo spirito dei defunti che diviene una luce nel buio pronta ad occupare un nuovo corpo, persino quello di un tenero cane che si trasforma in un “cane mannaro” che piacerebbe molto a Tim Burton. Tutto questo si svolge in una singola unità spaziale che è allo stesso tempo casa, impresa di onoranze funebri e luogo di cremazione. È la scena, The House, a decidere cosa mostrare e cosa nascondere, aprendo un varco che prima non c’era o spegnendo una luce piuttosto che un’altra. Perché conta ciò che avviene in scena, ma anche ciò che avviene al di fuori di essa. Regno dei vivi e regno dei morti.