Popoli che hanno dovuto lasciare la propria terra, che si sono visti privati delle loro ricchezze, che hanno vissuto la sofferenza dell’oppressione: questo è ciò che ha accomunato il popolo ebraico di ieri, prigioniero in Babilonia, quello del coro del terzo atto del Nabucco, e il popolo migrante oggi, protagonista, ancora troppo spesso, di atti di violenza. Da qui la scelta del titolo “Va, pensiero – Storie ambulanti” per il docufilm di Dagmawi Yimer proiettato ieri sera al circolo OpenSource.
La presenza modesta di pubblico non ha premiato la qualità di un lungometraggio che ha raccolto in sé grandi temi su cui riflettere: la diversità, la violenza, l’indifferenza, il coraggio, la libertà, l’importanza di essere. Il tutto portato alla luce grazie agli occhi e alle voci dei tre protagonisti: Mohamed, Mor e Cheikn, accomunati da una tragica realtà, quella di essere state vittime di violenza, perché migranti, perché diversi. Mor e Cheikn sono stati aggrediti a Firenze, il 13 dicembre del 2011 al mercato di San Lorenzo, quando altri due senegalesi sono stati uccisi. Mohamed, musicista, attore ed educatore senegalese, invece, ha subìto un’aggressione il 31 maggio del 2009, alle 19.45 circa, in pieno centro a Milano: due coltellate e un’ora. Un’ora ad aspettare che qualcuno l’aiutasse, mentre perdeva sangue, alla fermata di un tram. Un’ora di indifferenza, fino a quando le forze dell’ordine non l’hanno portato al pronto soccorso, ma che non ha più rivisto, nelle due settimane successive di permanenza in ospedale, neanche per identificare il suo aggressore.
“Va, pensiero” con la volontà di superare gli ostacoli, i muri, le barriere che costruisce l’ideologia di chi sceglie la divisione, per controllare e la paura, per sopprimere, di chi sceglie gli interessi alle persone.
“Con la nuova civiltà contemporanea”, ha dichiarato Ba, “uno non si aspetta di essere punito per la sua diversità. È stato uno shock per me, ma non mi sono arreso, perché credo che quella persona”, riferendosi al suo aggressore, “sia interprete soltanto di un pensiero, il suo, e che non potesse minimamente rappresentare il pensiero generale”. “Ho voluto, attraverso il mio lavoro”, ha sottolineato Mohamed Ba, “far sì che il mio aggressore continui a sentire il mio canto e a rendersi conto che, piuttosto che scegliere la ragione della forza, conviene a tutti noi far prevalere la forza della ragione, di modo che possiamo sederci attorno a un tavolo e discutere dei problemi per trovare soluzioni tutti insieme”.
Per superare la paura della diversità e far sì che si raggiunga una completa integrazione, il primo passo, secondo l’attore senegalese, “è che l’Europa si assuma le sue responsabilità e riconosca i suoi errori. Io non ho ancora sentito una nazione scusarsi con noi per la schiavitù”, ha evidenziato. “Non ho ancora sentito una nazione europea scusarsi con noi per l’evangelizzazione, scusarsi per la colonizzazione. Non ho sentito ancora una nazione scusarsi per l’islamizzazione. E nonostante ciò, noi, quando veniamo in Europa, pensiamo di andare a trovare fratelli e sorelle”. “Noi siamo scesi a patti con la nostra memoria”, ha concluso Mohamed Ba, “ma per un’interculturalità viva e reale, anche l’Europa deve fare i conti con la sua”.