Era difficile immaginare un inizio diverso per l’intervento di Vittorio Sgarbi a Bisceglie, ospite ieri sera, venerdì 24 agosto, della prima serata della nona edizione di Libri nel Borgo Antico. Il critico d’arte e personaggio televisivo (ormai le sue due “occupazioni” vanno di pari passo e si reggono a vicenda) ha infatti presentato il suo nuovo libro “Dal mito alla favola bella: da Canaletto a Boldini”, quinto volume della collana “Il Tesoro d’Italia” edita da La Nave di Teso, con un monologo che ha spaziato dall’attualità più stringente (le recenti dichiarazioni pubbliche del nuovo ministro ai beni culturali) al ruolo dell’editoria e dei libri nella divulgazione culturale e nella sua personale formazione di critico d’arte. Una tradizione editoriale cominciata con gli storici volumi de “I maestri del colore” editi dalla casa editrice Fratelli Fabbri tra il 1963 ed 1967 e proseguita con la “rivista più bella del mondo”, ovvero la FMR di Franco Maria Ricci, nata dalla “devozione alla Bellezza” del suo editore e che faceva delle grandi illustrazioni a colori (“l’arte va prima di tutto guardata”, ha spiegato Sgarbi) uno dei suoi punti di forza insieme alle didascalie che le accompagnavano, a firma di importanti scrittori dell’epoca.
È forse quindi proprio questo suo passato da “lettore”, prima ancora che da “critico”, ad aver motivato Vittorio Sgarbi nella scrittura di un libro che ambiziosamente cerca di tracciare un itinerario fra le opere d’arte che si collocano tra il ‘700 e gli inizi del ‘900, attraverso uno “sguardo lungo” che comprende sia nomi di grande risonanza (da Canaletto a Canova) che quelli meno conosciuti, ma per i quali chi scrive non ha mai nascosto la sua passione: immancabili quindi Bellotto o Coccorante, entrambi inseriti da Sgarbi nel capitolo dedicato ai “capricci”, ovvero i quadri che rielaborano le rovine dell’antichità attraverso la libera combinazione di elementi architettonici reali (“Le rovine della cattedrale di Dresda”) o fantastici (“Capriccio architettonico con statua di Ercole e figure”).
Ma la “lezione” biscegliese di Sgarbi, che ha parlato brevemente di alcuni dei quadri più significativi racchiusi nel suo volume, dalle raffigurazioni immortali di una Venezia consegnata al mito da Canaletto, per finire con il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, l’opera che ha aperto ufficialmente il secolo senza Dio, dove la divinità non era più esterna ma da ricercare dentro se stessi attraverso la psicanalisi, è servita anche per parlare di temi meno aulici e più terreni. Prima con una invettiva feroce contro il ministro Alberto Bonisoli, reo di voler eliminare le famose “domeniche” gratuite nei musei (che, secondo i critici, non creano che numerosi disagi sia alle strutture museali, costrette a sopportare un flusso di visitatori ingestibile, sia agli stessi fruitori del museo, che si trovano a passeggiare in sale al limite della loro capienza) e successivamente con una critica colorita alle “mostruose pale eoliche che deturpano la bellezza del nostro territorio” (da sempre una sua battaglia). Sgarbi dal palco ha affermato di desiderare un Paese in cui i musei siano sempre gratuiti e “aperti anche la sera, nel caso ci si voglia fermare per mangiare qualcosa”. Certamente un auspicio condivisibile, a patto che non si continui più a considerare il “patrimonio italiano” esclusivamente come una rete di musei da gestire come attività commerciali, ma si cominci finalmente a rivalutare quel “patrimonio diffuso” (quello sì sempre gratuito) che è costituito dai nostri borghi, dalle nostre piazze e da tutti quei tesori nascosti fra le pieghe del nostro territorio.