Nessun rapporto finisce di punto in bianco e nessun matrimonio soddisfacente finisce con un divorzio.
Di solito, la decisione di separarsi è conseguente ad uno periodo prolungato di profonda insoddisfazione: non si riesce più a stare bene insieme, si hanno valori e obiettivi diversi e inconciliabili, non si fa che litigare oppure al contrario, nella coppia regna la distanza emotiva e la mancanza di comunicazione.
la maggioranza delle persone dopo il divorzio sperimenta un periodo di insicurezza personale e di estrema fragilità emotiva: a prescindere dalla durata del matrimonio, si esce dal divorzio in qualche modo “segnati” e cambiati.
Infatti, la dissoluzione del legame matrimoniale non costituisce solo la fine di una storia d’amore importante ma anche di tutto quello che un matrimonio rappresenta a livello psicologico: è la fine di un progetto di vita in cui si era creduto e scommesso, dei sogni per il futuro, di una relazione che si sperava sarebbe durata per sempre.
Il divorzio è una perdita affettiva importante che racchiude in sé tante altre perdite (economiche, pratiche, sociali, familiari, ecc) e in quanto tale è in grado di scuotere in modo profondo l’identità e l’autostima.
Oltre a una perdita di stima in se stessi, i genitori nutrono sentimenti di colpa nei confronti dei figli, accompagnati, in certe circostanze, da rancore nei riguardi dell’ ex consorte. Qualunque azione può condurre ad una escalation negativa di reciproche attribuzioni di errori commessi, con il risultato di distogliere l’attenzione dai bisogni dei figli e dai propri.
La rabbia e il senso di colpa sono sentimenti legittimi da provare nella fase successiva ad un evento traumatico come la separazione o il divorzio, possiamo permetterci di viverle. Tra persone legate da relazioni di parentela o affettive, quando le cose non vanno come avevamo previsto o sperato, il rancore spesso si manifesta in vari modi, a seconda della circostanza in cui ci troviamo.
In certe situazioni alcuni individui si lasciano prendere da sentimenti di colpevolezza, finendo per attribuirsi o attribuire all’altro errori che non hanno commesso!
Spesso quando una relazione amorosa finisce le colpe non sono mai tutte di un’unica persona, ma andrebbero ricercate nella complessa rete di relazioni affettive in cui non solo la coppia, ma anche la famiglia, i parenti, gli amici, svolgono un ruolo e hanno una loro funzione.
A questo punto è importante fare una precisazione: la fine di una relazione è processo doloroso anche per chi prende la decisione di lasciare, ma per chi viene lasciato lo è molto di più.
Infatti, il partner che decide di interrompere la relazione, pur essendo costretto a sopportare il peso della responsabilità della decisione e dovendo fare i conti con il dubbio di aver fatto la scelta giusta e con i sensi di colpa, è quello che se la cava meglio perché è il meno coinvolto emotivamente.
Chi viene lasciato vive, invece, una dolorosa esperienza di abbandono e di rifiuto che può intaccare in modo molto profondo l’autostima e la fiducia nell’amore e nel futuro.
Il coniuge che ” subisce” il divorzio soffre molto più a lungo e molto più intensamente, ma se riesce a superare questa esperienza così devastante, esce dalla separazione con Io più forte e con una rinnovata consapevolezza delle proprie capacità e delle possibilità che la vita può offrire.
Il divorzio è una delle esperienze più dolorose e devastanti che gli esseri umani possano sperimentare dopo la morte di una persona cara, l’invalidità permanente e una grave malattia. Accettare l’abbandono della persona amata richiede tempo (come minimo sei mesi) e un processo psicologico complesso per certi versi analogo a quello che avviene alla morte di una persona cara. In genere, il processo dell’elaborazione del lutto avviene per fasi la cui durata e intensità varia da individuo a individuo. Ciascuno vive il lutto a modo suo, in alcuni predomina la componente depressiva, in altri la rabbia per l’abbandono subito e il bisogno di risarcimento.
Raramente la separazione avviene di comune accordo: di solito, quando la relazione finisce c’è un partner che prende l’iniziativa della rottura, cogliendo l’altro completamente di sorpresa.
Non è infrequente che chi è stato lasciato, faccia commenti del tipo.” Avevamo un matrimonio felice e l’ultima cosa che mi sarei aspettato è che lui/ lei volesse divorziare” oppure “c’erano dei problemi ma non pensavo che lui/ lei fosse così infelice”.
Infatti, non sempre il coniuge che decide di porre fine al matrimonio ha il coraggio di esplicitare i suoi dubbi e la sua infelicità. In molti casi il partner che lascia, fino al giorno della rivelazione continua a comportarsi normalmente, senza lasciare trapelare esplicitamente la propria insoddisfazione.
Ma anche quando tutto procede “abitualmente” partner che non ama più manda senza volerlo una serie di messaggi sotterranei di noia e di disinteresse che l’altro sembra incapace di cogliere.
Ma anche quando il partner mostra in modo inequivocabile il suo disamore, il coniuge più innamorato nega anche l’evidenza.
La ragione di tale cecità psicologica sta nel meccanismo della negazione, un meccanismo di difesa che ci permette di proteggerci dall’impatto di eventi traumatici , semplicemente negandoli.
Nelle prime fasi della separazione, la negazione è l’aspetto predominante. Chi viene lasciato non riesce a credere che sia veramente finita, che l’altro lo voglia lasciare e che non lo ami più, perciò continua a sperare contro ogni logica e ogni evidenza. Quando la negazione è particolarmente forte (e più intenso è il coinvolgimento emotivo più intensa è la negazione) si vive un temporaneo stato di choc. Chi è stato di choc, quando viene lasciato non ha alcuna reazione e non sperimenta nessuna emozione. Va avanti come se niente fosse e come se il divorzio lo lasciasse perfettamente indifferente. Contrariamente a quello che può sembrare, questa reazione tradisce un profondo turbamento emotivo e può essere il preludio ad un tracollo psicologico successivo.“Adesso che tu mi lasci, mi crolla il mondo addosso”
La maggior parte delle persone, quando cominciano a rendersi conto che è finita e che il partner vuole veramente lasciarle, sperimentano un intensa sensazione di ansia e disorientamento.
Tale incertezza deriva dal rendersi conto di dover affrontare, forse per la prima volta, il mondo da soli. Una relazione amorosa consolidata è un punto di riferimento importante e rappresenta in un certo senso una fonte di scurezza, proprio per questo quando una relazione significativa si conclude ci ha la sensazione che il proprio mondo vada in pezzi e ci si sente sperduti e vulnerabili.
I cambiamenti sono sempre faticosi, anche quando sono voluti e desiderati, chi subisce la separazione è costretto ad affrontare suo malgrado una serie di cambiamenti piccoli e grandi in tempi molto rapidi.
Nessuna meraviglia che in un periodo così stressante, la salute ne risenta (dopo una separazione non voluta la probabilità di ammalarsi aumenta vertiginosamente!) e molte persone comincino ad accusare una serie di sintomi psicofisici quali insonnia ostinata, disturbi alimentari, estremo nervosismo, disturbi psicosomatici, ecc. Altre persone nel tentativo di gestire l’ansia legata al radicale cambiamento di vita, ricorrono a comportamenti compulsivi: come spese sconsiderate, fumare o bere in eccesso, guidare in modo spericolato, ecc
Non appena le questioni pratiche si sono sistemate e ci si ritrova a dover fare i conti con il letto vuoto, la casa silenziosa, e con tutti i cambiamenti che comporta la nuova vita da single, la maggioranza delle persone inizia a sperimentare una profonda sensazione di depressione.
La depressione deriva dal fatto che cominciamo a renderci conto della perdita subita ma non riusciamo (e non vogliamo!) accettarla.
Durante la fase depressiva, la persona che è stata lasciata si addossa tutta la responsabilità del fallimento del matrimonio e si macera nel rimorso e nel senso di colpa. In altre parole, continua a credere che se non avesse fatto certi errori, se avesse avuto un carattere diverso, sarebbe ancora felicemente sposata.
Paradossalmente, questi dubbi sono la prova dell’attaccamento verso il partner e della buona volontà di far funzionare il matrimonio!
A volte, i rimorsi e i rimpianti vengono rinforzati dall’ex partner.
Chi lascia, per sentire meno il peso del senso di colpa, si difende scaricando la responsabilità sul poveraccio che viene lasciato.
Questa fase è molto delicata dal punto di vista psicologico perché se non adeguatamente elaborata può portare chi sta vivendo la separazione a vivere il divorzio come la prova della propria inadeguatezza personale.
Dal punto di vista psicologico, questo ritenersi completamente responsabili della fine della relazione ha un altro risvolto: inconsciamente crediamo che se tutto dipende da noi e se la relazione è fallita per colpa nostra, se ci impegniamo abbastanza la relazione potrà essere riportata in vita. Purtroppo questo non si verifica quasi mai : infatti, nel momento in cui l’altro non vuole più vivere il rapporto e non vuole neppure fare un tentativo per salvarlo, è evidente che la relazione non esiste già più. Quello che c’è è solo una persona che si illude che il rapporto esista ancora.
Dopo alcuni mesi o settimane di depressione, comincia ad insorgere verso l’ex partner un sentimento di rabbia.
Mentre prima ci si dava tutte le colpe del mondo, adesso tutti i torti vengono attribuiti al partner.
Ci si percepisce come la vittima di una persona indegna che ci ha rovinato la vita. In questa fase è normale provare un sentimento di rancore nei confronti del proprio ex, nutrire dei desideri di vendetta o avere delle fantasie aggressive.
E’ una reazione normale e assolutamente necessaria del processo di guarigione psicologica, tuttavia se questi sentimenti non vengono elaborati in modo adeguato, si finisce per trascorrere tutta la vita sentendosi delle vittime e precludendosi la possibilità di amare di nuovo!
Per uscire da dinamiche conflittuali controproducenti, che si protraggono negli anni, portatrici di sofferenze non solo nei riguardi dei vostri figli, ma anche nei confronti di tutte le persone coinvolte, sarebbe utile elaborare emotivamente la separazione, mettersi in discussione, confrontarsi con la nuova situazione.
Un primo passo per realizzare questo consiste nel compiere lo sforzo di concentrarsi sul presente, elaborando le ragioni e gli elementi che hanno portato alla separazione, abbandonando i vissuti di colpa, assumendo una posizione più responsabile.
Raggiungere ed avere un distacco emotivo, per quanto possibile, sarebbe utile per vedere le cose in modo nuovo. Tutto ciò è frutto di un lungo e graduale processo, unico per ogni persona, ma potrà garantire a voi stessi e ai vostri figli quella maggiore sicurezza e tranquillità psicologica di cui tutti abbiamo bisogno e della quale siamo alla costante ricerca.
Procedendo per fasi acquisiamo maggiore consapevolezza, attraverso la riscoperta di aspetti caratteriali di noi stessi, che erano stati messi in disparte all’interno della relazione di coppia.
Una separazione, dopo aver compiuto il grande sforzo per comprenderla, può essere un punto di svolta, può condurci a una nuova vita, diversa dalla precedente, non per questo meno appagante, portatrice di una serenità nuova, conquistata con fatica e sofferenza, ricordando sempre che un genitore resta tale, anche dopo un distacco o un divorzio.
Usciti dal tunnel ci accorgiamo che ogni esperienza, anche la più traumatica, ci aiuta a cercare dentro ciò che spesso nemmeno sappiamo di avere e, se possibile, a renderci delle persone migliori, per i propri figli e per noi stessi.
Dopo aver attraversato tutte le emozioni dolorose che l’elaborazione della rottura comporta, la persona che ha subito la separazione si rende conto che la vita gli offre numerose prospettive al di là del matrimonio. Inoltre, molte persone escono dalla separazione con una rinnovata autostima e con una maggiore consapevolezza delle proprie capacità proprio perché hanno dovuto cavarsela da sole e padroneggiare sfide che ritenevano di non essere in grado di affrontare.
Tutte le esperienze negative offrono anche una possibilità di crescita e uno dei possibili doni che la fine del matrimonio comporta è quello di potersi riappropriare del proprio Io.
Non sono poche le persone che si rendono conto di desiderare uno stile di vita molto diverso da quello che conducevano con il loro partner.
Una tipica reazione che si prova dopo la fine di una relazione è la consapevolezza di quanto di se stessi si è sacrificato nel matrimonio.
Infatti, spesso per tenere in piedi un rapporto, specialmente quando non funziona, si è costretti ad accantonare sogni, interessi, preferenze ed aspirazioni.
Con la separazione gradualmente si comincia a diventare consapevoli e a ricoprire aspetti della propria personalità che erano stati annullati nella coppia. Questo riprendere possesso di interessi e potenzialità dimenticate è sempre un momento entusiasmante: si ha l’impressione di vivere una seconda adolescenza e di poter fare delle scelte (anche in campo affettivo) più in sintonia con i bisogni profondi.
Anche se nessuno deciderebbe di sua spontanea scelta di vivere un esperienza devastante come il divorzio, molti, quando riescono ad elaborare il lutto, si rendono conto che la separazione ha segnato l’inizio del loro sviluppo come persone e sono quasi grati al partner per averli lasciati.
Quando il lutto che consegue la fine di un rapporto significativo viene superato, si è in grado di riconoscere tutti i doni che la passata relazione ci ha lasciato. Tutti i rapporti, anche quelli più negativi e più autodistruttivi, hanno qualcosa da insegnarci: anche solo a diventare più consapevoli dell’importanza della propria dignità personale!
Quando ci si apre ad una nuova vita di coppia, gli affetti si moltiplicano, non si cancellano, ed in fondo è bello che i figli stiano bene, amino e siano amati da più persone.
La sfida per le famiglie ricostruite consiste nel saper riflettere una nuova storia, in cui vi sia spazio per tutti e in cui ognuno possa recitare una parte attiva, in cui tutti i ruoli siano delineati e accettati, nonché sempre oggetto di modifica, e in cui tutti i valori possano trovare cittadinanza.
Per far ciò occorre consentire al figlio l’accesso a tutte le persone che appartengono alla cerchia familiare, rendere i confini e i passaggi permeabili, potersi muovere da un gruppo familiare all’altro, attingendo alle risorse e alla ricchezza che da una simile configurazione può scaturire. Insomma, i rami delle famiglie vanno condivisi per diventare la nuova continuità nel mutamento.
Per cercare di armonizzare le relazioni, il genitore dovrà riconoscere con chiarezza la posizione che il nuovo partner ha nella sua nuova vita ed accompagnare il figlio all’accettazione sana di nuovi equilibri, laddove il nuovo non sostituisce il vecchio, ma entrambe le realtà coesistono e si integrano nel rispetto reciproco.
Foto copertina: www.leggioggi.it