Storico, filosofo e critico letterario francese di ispirazione positivistica e conservatrice, ideatore del “naturalismo” che avrebbe influenzato scrittori come Zola, Maupassant e Bourget, Hippolyte-Adolphe Taine (Vouziers 1828 – Parigi 1893) scrisse opere imponenti di ricostruzione storica e analisi letteraria – all’epoca caldamente apprezzate da un filosofo come Friedrich Nietzsche ma oggi terribilmente lontane dalla nostra sensibilità – che non mancarono mai di suscitare vivaci dibattiti sia nel mondo accademico sia, più in generale, nella società civile durante la seconda metà dell’Ottocento, per via delle sue opinioni ideologicamente radicali (celebre il suo giudizio sprezzante sulla Rivoluzione Francese).
Tra i numerosi interessi che lo hanno occupato, Taine lascia alla posterità anche una riflessione originale sull’arte. Ne La Philosophie de l’art del 1865, volume che raccoglie le sue lezioni di estetica tenute presso la Scuola di belle arti di Parigi, Taine formula alcune domande interessanti sul concetto di uomo come artefice della cultura, ossia creatore di forme e contenuti che definiamo “culturali” a partire da una meditazione sul valore dell’arte: cosa rende “artistica” l’opera di un uomo? Perché l’attività umana può essere oggetto di un studio e di un sapere che chiamiamo “estetica”?
Per rispondere efficacemente a questi interrogativi, Taine interpella una questione a suo tempo ormai classica, quella della mimesi, che caratterizza storicamente lo sviluppo della riflessione estetica: vale a dire se l’artista agisca imitando o meno la natura. Benché una tradizione secolare identifichi il compito dell’arte nell’imitare e riprodurre, tramite la poesia, la pittura, la scultura, la musica e ecc., il mondo naturale nella sua perfezione, ossia l’armonia e a bellezza custodite nei soggetti naturali che solo l’artista è capace di evocare ed esprimere, il senso che Taine attribuisce alla funzione mimetica dell’arte trasforma sostanzialmente il significato del concetto.
L’arte non imita “l’apparenza” sensibile, sostiene lo storico francese; l’opera dell’artista non consiste affatto nel replicare gli elementi “belli” che possiamo cogliere contemplando la natura; così come non coincide nell’organizzare gli elementi naturali secondo un ordine che rispecchi esigenze intellettuali, ossia un’idea astratta di bellezza. Sotto questo profilo, l’arte e l’esperienza estetica non hanno lo scopo di soddisfare il corpo o la psiche suscitando piacere; non si compiono nella missione di gratificare la componente sensibile o intellettuale dell’uomo.
Nella prospettiva di Taine, l’arte ha una funzione del tutto peculiare, capace di porla effettivamente al di sopra della realtà; in altri termini, l’arte, nel significato pregnante del termine, agisce sì a partire dalla natura ma ha nei suoi confronti una funzione correttiva. Ciò che fonda la dimensione estetica e chiarifica la funzione artistica dell’opera umana è il punto di vista, la prospettiva specifica e particolare da cui l’uomo, in quanto agisce “artisticamente”, guarda alla natura. È un guardare del tutto singolare ed esclusivo, consono soltanto all’esperienza dell’arte e realizzabile soltanto da un artista.
Costui, a ben vedere, coglie un ordine nel disporsi, apparentemente caotico, degli elementi naturali; nella distribuzione stessa delle parti in relazione al tutto egli apprende il tentativo di far emergere una qualità, un tratto, una tendenza, un senso rivelatore, che serva a distinguere quella formazione particolare da altre connessioni di elementi. La natura, in altre parole, comunica con l’intelligenza umana esprimendo un messaggio articolato in forme, figure, configurazioni, ordini che dominano sul complesso della realtà sensibile.
Ma l’esperienza dell’arte impone di constatare come la natura fallisca ripetutamente nel conseguire il suo fine, o quello che l’artista considera il fine della natura: la qualità, la tendenza, il senso delle formazioni naturali, non affiora compiutamente e in modo adeguato: la “forma” che la natura comunica all’uomo è solo parzialmente riconoscibile e comprensibile. Osservata con l’occhio dell’artista, la natura non perviene affatto maturare nella sua tendenza fondamentale.
È in questa lacuna che interviene l’opera dell’arte, grazie alla quale l’uomo sperimenta nella propria responsabilità di agente creatore l’occasione di perfezionare la natura. Il messaggio che l’uomo coglie in forma incompleta è dunque la predisposizione del mondo naturale a essere trasposto al di sopra della realtà materiale che lo costituisce. L’arte, infatti, trasfigura la natura, trasforma il mondo sensibile nel “mondo delle idee”, Per il tramite dello spirito umano, l’arte interviene nel processo naturale per portare a compimento l’indole “formale” della natura, per trasfigurare l’incompletezza del reale nella perfezione del bello ideale, “riempiendo di spirito” l’oggetto concreto.
Nel trasformazione del concreto, l’oggetto materiale diviene una figura portatrice di significato, una qualità che assume un valore ideale, e quindi, in ultima analisi, si profila nei termini di un prodotto della cultura. Qui, dunque, ha luogo la produzione della forma e con ciò il riconoscimento del processo con cui l’artista genera la forma stessa, processo che correttamente definiamo stile. L’elemento ideale, afferma Taine, che adesso parla alla nostra intelligenza, alla nostra spiritualità per mezzo dell’oggetto, ha ricevuto una forma propria nell’opera dell’artista: questo elemento ideale coincide quindi con il “carattere essenziale” che si esprime nell’oggetto: «…l’artista, modificando i rapporti tra le parti, li modifica, intenzionalmente, nella stessa direzione, in maniera tale da rendere sensibile un certo carattere essenziale dell’oggetto, e di conseguenza, l’idea principale che se ne è fatto. Questo carattere è ciò che i filosofi chiamano l’essenza delle cose, motivo per cui essi dicono che il fine dell’arte è manifestare l’essenza delle cose. Noi mettiamo da parte la parola essenza, perché troppo tecnica, e diremo semplicemente che l’arte ha come scopo quello di manifestare il carattere essenziale, qualche qualità saliente e notevole, un punto di vista importante, una fondamentale maniera di essere dell’oggetto» (Filosofia dell’arte, a cura di O. Settineri, Bompiani, Milano 2001, pp. 73-75).
Da ultimo, per descrivere con precisione l’attività di perfezionamento che l’arte compie sulla natura, Taine conclude: «È proprio il carattere essenziale che l’arte ha lo scopo di mettere in luce, e se l’arte intraprende una simile impresa, è perché la natura non è in grado di farlo. In natura, infatti, il carattere è semplicemente dominante: nell’arte si tratta di renderlo dominatore. Questo carattere plasma tutti gli oggetti reali, ma non li plasma completamente, in quanto, nella sua azione è ostacolato dall’intervento di altre cause; non ha potuto imprimersi in maniera forte e tangibile negli oggetti che portano il suo marchio. L’uomo, percependo questa lacuna, ha inventato l’arte al fine di colmarla» (Ivi, p. 89).